Gli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4), noti anche come gliptine, sono associati a un rischio aumentato di pemfigoide bolloso rispetto alle sulfaniluree di seconda generazione.
Lo segnala uno studio di coorte statunitense che ha arruolato 1.664.880 pazienti con diabete di tipo 2, che avevano iniziato una terapia con gliptine o con sulfaniluree di seconda generazione.
Il fatto che l’uso di sulfoniluree comporti un aumento del rischio vascolare, finora ipotizzato sulla base di dati non sufficientemente solidi, viene confermato da una revisione statunitense che ha incluso i 33 studi clinici e osservazionali pubblicati fino a dicembre 2011. Tali studi hanno coinvolto complessivamente 1.325.446 pazienti seguiti per 0,46-10,4 anni e hanno confrontato una sulfonilurea a un altro farmaco ipoglicemizzante orale.
Un’indagine su un ampio campione di quasi 200mila statunitensi diabetici (185.360 uomini, 7.812 donne) rappresentativi della popolazione generale ha confrontato il rischio di mortalità di diversi ipoglicemizzanti orali.
Negli ultimi 5 anni la FDA ha individuato oltre 330 preparati spacciati per supplementi nutrizionali, la cui composizione comprendeva invece farmaci, alcuni dei quali di difficile gestione. L’intensa azione di ritiro dal mercato ha avuto effetti limitati perché molti sono ancora disponibili in rete e, almeno negli Stati Uniti, sugli scaffali di negozi specializzati. Una quota significativa di questi prodotti è pubblicizzata (e richiesta dai clienti) come “naturale” e nello stesso tempo in grado di migliorare le prestazioni sessuali.
Il trattamento con sulfoniluree di vecchia o nuova generazione, come la glibenclamide o la gliclazide rispettivamente, non avrebbe un impatto significativamente diverso sul precondizionamento ischemico. Con questo termine si indica la capacità del tessuto miocardico di adattarsi a episodi brevi o ripetuti di ischemia che diventa un meccanismo di autodifesa rispetto a episodi successivi.
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