Gli inibitori del co-trasportatore sodio glucosio di tipo 2, noti anche come glifozine, aumentano il rischio di chetoacidosi diabetica rispetto agli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4.
La notizia proviene da uno studio di coorte basato su una popolazione canadese e britannica, che ha analizzato i dati di 208.757 pazienti che avevano iniziato ad assumere una glifozina, confrontandoli con quelli di 208.757 pazienti in terapia con una gliptina.
Gli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4), noti anche come gliptine, sono associati a un rischio aumentato di pemfigoide bolloso rispetto alle sulfaniluree di seconda generazione.
Lo segnala uno studio di coorte statunitense che ha arruolato 1.664.880 pazienti con diabete di tipo 2, che avevano iniziato una terapia con gliptine o con sulfaniluree di seconda generazione.
Da uno studio osservazionale di popolazione emerge che gli antidiabetici orali inibitori della dipeptidil-peptidasi (DDP)-4 si associano a un aumento del rischio di malattia infiammatoria intestinale.
Una revisione sistematica condotta dal centro di Evidence-Based Medicine dell’Università cinese di Sichuan esclude che l’impiego di incretine nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 aumenti il rischio di pancreatite. A questa conclusione i ricercatori sono giunti dopo aver selezionato dalla letteratura scientifica 60 studi controllati con placebo, modificazione dello stile di vita o altri farmaci ipoglicemizzanti che avevano coinvolto nel complesso 353.639 pazienti.
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