La terapia con inibitori dei checkpoint immunitari sembra essere associata a un maggior numero di morti e di segnalazioni di eventi avversi gravi rispetto ad altri farmaci antitumorali.
L’assunzione prolungata di inibitori di pompa protonica sarebbe associata a un eccesso, pur piccolo, di mortalità conseguente a patologie cardiovascolari, insufficienza renale cronica e tumori di esofago e stomaco.
La notizia viene da uno studio longitudinale di coorte statunitense, che fa seguito alle segnalazioni presenti in letteratura sugli eventi avversi collegati agli inibitori di pompa protonica.
I ricercatori hanno analizzato 214.467 anziani trattati ex novo con un farmaco antiulcera: 157.625 con un inibitore di pompa protonica e 56.842 con un anti H2.
Uno studio di coorte coordinato dalla Mayo Clinic di Rochester ha rilevato che la terapia intravitreale con farmaci inibitori del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (anti-VEGF, ranibizumab e bevacizumab) non aumenta il rischio di ictus, infarto del miocardio o morte nei pazienti con maculopatia essudativa senile rispetto ai gruppi di controllo con e senza degenerazione maculare.
Una revisione sistematica suggerisce che l’assunzione di antipsicotici di seconda generazione non aumenti significativamente il rischio di morte, se non in alcuni sottogruppi di pazienti. Le conclusioni si basano sui risultati di 352 studi randomizzati e controllati con placebo (84.988 pazienti coinvolti) pubblicati fino a gennaio 2017. La maggior parte degli studi (85%) aveva un follow up mediano di 13 settimane.
Gli analoghi del GLP-1 (glucagon-like peptide-1) a differenza di altri antidiabetici non avrebbero un effetto negativo sul cuore, tendendo anzi a proteggerlo. Lo suggerisce una revisione sistematica, coordinata dai diabetologi dell’Università di Oxford, cui ha partecipato per l’Italia il Centro studi dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) di Firenze, peraltro finanziata – è doveroso segnalarlo per i conflitti d’interesse – da un’azienda produttrice.
Uno studio di coorte statunitense segnala un eccesso di mortalità globale associato all’impiego di inibitori della pompa protonica. Per giungere a segnalare questo evento avverso, senza peraltro essere in grado di fornirne una spiegazione dato il disegno dello studio, sono stati utilizzati i dati amministrativi dello US Department of Veterans Affairs, il dicastero che si occupa degli ex-combattenti delle forze armate, e sono stati seguiti più di 6 milioni di soggetti per un periodo mediano di quasi 6 anni a partire dal 2013.
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