Bevacizumab e ranibizumab a confronto nella degenerazione maculare
Un farmaco efficace, sicuro, poco costoso, ma senza indicazione è meglio di un farmaco efficace, sicuro, molto costoso ma con l’indicazione? La storia di bevacizumab e ranibizumab fa riflettere
“Not me drugs”, così Campbell1 definisce il ranibizumab e il bevacizumab. Ciò in contrasto con l’espressione “me too drugs” comunemente usata per indicare un prodotto molto simile a un altro già noto (per esempio statine, ACE inibitori eccetera). Entrambi i farmaci derivano dallo stesso anticorpo precursore (il bevacizumab è l’anticorpo completo di cui il ranibizumab è un frammento) e agiscono bloccando il recettore per il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF), con il conseguente rallentamento o interruzione della crescita anormale dei vasi sanguigni, meccanismo che è alla base di diverse condizioni patologiche, tra cui la degenerazione maculare della retina legata all’età.
Ma conviene partire dall’inizio. Nel 2005 il bevacizumab viene approvato dall’EMA come terapia sistemica anticancro, mentre il ranibizumab viene autorizzato nel 2007 per l’uso intravitreale nella degenerazione maculare.2 Tuttavia, prima che gli studi di fase III sul ranibizumab venissero completati, in letteratura si erano già diffuse prove a favore dell’impiego intravitreale offlabel del bevacizumab. Dal 2007, nonostante la disponibilità sul mercato del primo farmaco approvato per la degenerazione maculare, il ranibizumab, a livello mondiale i consumi del bevacizumab hanno continuato a prevalere su quelli del ranibizumab (secondo uno studio condotto sui dati del sistema Medicare,3 nel 2008 il 58% dei pazienti con degenerazione maculare è stato trattato con bevacizumab).
Le due molecole, pur condividendo il meccanismo d’azione ed essendo entrambe efficaci nel contrastare la degenerazionemaculare, hanno una notevole differenza di prezzo:4 mentre il ranibizumab viene commercializzato in singole fiale sterili, il bevacizumab deve essere frazionato dalle farmacie ospedaliere in dosi più piccole a partire dalle fiale disponibili in commercio per le indicazioni oncologiche, generando una differenza di costo, variabile da paese a paese, che in Italia è di circa 70 volte meno rispetto al ranibizumab.
A questo punto è legittimo chiedersi come mai il bevacizumab non venga registrato per la degenerazionemaculare. Come è noto, secondo l’attuale normativa, la richiesta di ampliamento delle indicazioni spetta al titolare all’immissione in commercio (AIC), in questo caso la Roche; quest’ultima però non hamai voluto richiedere l’estensione, per motivi non specificati.
In questa situazione il ranibizumab (di cui è titolare AIC la Genentech, azienda controllata dalla Roche) continua a mantenere una importante quota di mercato, poiché è l’unico farmaco autorizzato per la degenerazione maculare dalle agenzie regolatorie di tutto il mondo, nonostante le prove di uguale efficacia del bevacizumab.
Benché l’efficacia del bevacizumab fosse già stata constatata sul campo, solo nel maggio 2011 è stato pubblicato il primo studio di confronto diretto (CATT) tra i due farmaci. Questo studio, senza sponsor commerciali, ha confrontato il bevacizumab e il ranibizumab, sia nella somministrazione mensile sia al bisogno, dimostrandone la pari efficacia nel migliorare l’acuità visiva a un anno. Nonostante lo studio CATT non fosse stato disegnato per valutare i due farmaci in termini di sicurezza, tali risultati sono stati utilizzati per suggerire che il bevacizumab (il cui rischio anti trombotico è noto quando somministrato per via sistemica e quindi a dosi circa 150 volte superiori rispetto a quelle intravitreali) sia meno sicuro per via intravitreale del ranibizumab, anche alla luce del suo differente assorbimento sistemico e del tempo di emivita.5 In particolare, una maggior percentuale di pazienti trattati con il bevacizumab aveva eventi avversi gravi che hanno portato all’ospedalizzazione. Gli autori dello studio CATT affermano però che tali differenze sono attribuibili al caso e non a reali differenze di rischio. I pazienti nel braccio in trattamento con bevacizumab erano infatti già in partenzameno sani (per esempio avevano più fattori di rischio cardiovascolare), più anziani e perciò con caratteristiche sbilanciate rispetto al braccio di studio trattato con ranibizumab.6 Inoltre, gli effetti sistemici che si sono verificati nel CATT non sono quelli riscontrati con l’impiego del bevacizumab per via sistemica e, oltretutto, stranamente l’incidenza di reazioni avverse è stata superiore in coloro che hanno ricevuto meno dosi di bevacizumab (trattamento al bisogno rispetto a terapia mensile). Ecco perché gli autori dell’editoriale pubblicato nel 2012 sulla rivista Clinical and Experimental Ophthalmology scrivono che se i dati di sicurezza dello studio CATT fossero reali, allora il bevacizumab dovrebbe essere somministrato con maggiore frequenza in quanto protettivo.6
I risultati del secondo e ultimo anno dello studio CATT hanno confermato la sovrapponibilità del profilo di sicurezza delle due molecole, senza differenze di mortalità, eventi aterotrombotici e ictus.7
Dall’analisi ad interim del primo anno di un altro studio no profit (IVAN)8,9 emerge addirittura un maggior rischio di attacco cardiaco e ictus associato al ranibizumab, sebbene si tratti anche in questo caso di differenze non statisticamente significative.
Va sottolineato che le prove più recenti confermano l’associazione tra malattia cardiovascolare10 e degenerazione maculare, senza che vi sia un rischio aggiuntivo nei trattati con bevacizumab.11 Oltre allo studio CATT, in letteratura sono stati pubblicati altri dati sulla sicurezza del bevacizumab. Curtis12 ha condotto uno studio di coorte retrospettivo che ha coinvolto oltre 146.000 pazienti, dal quale, dopo aggiustamento per i fattori socio-economici, non sono emerse differenze tra bevacizumab e ranibizumab in termini di mortalità, infarto miocardico acuto, ictus e sanguinamenti. Anche dall’analisi pubblicata nel giugno 2012 e condotta su oltre 116.000 pazienti con patologia della retina seguiti per otto anni, non è emersa alcuna differenza tra i due farmaci negli eventi di ospedalizzazione per ictus ischemico.13
Nell’agosto 2011, la FDA ha diffuso un’allerta14 riguardante 12 casi di infezione (endoftalmite) verificatisi a Miami in pazienti trattati con bevacizumab. Tutti i casi erano riconducibili a fiale allestite dalla stessa farmacia della Florida, che probabilmente non ha preparato il farmaco in condizioni di assoluta sterilità. Il dottor Dhaliwal, specialista in malattie della retina, al quale il New York Times ha chiesto un parere in proposito,15 ha risposto così: “Smettereste di mangiare hamburger perché è stata trovata della carne contaminata in Texas?”. Va sottolineato che l’FDA nella sua allerta non vieta l’uso del farmaco, ma si limita a raccomandarne l’allestimento in condizioni di sterilità e a segnalare qualsiasi reazione avversa. Non bisogna tra l’altro dimenticare che la somministrazione intravitreale di per sé espone al rischio di rare complicanze quali infezioni ed emorragia del vitreo. La questione della possibile estensione di un’indicazione, sulla base dei dati di efficacia e sicurezza emersi in letteratura, anche senza l’esplicita richiesta del titolare di AIC è, alla luce di questi eventi, particolarmente di attualità.
Come più volte ribadito da Silvio Garattini, 16,17 quando gli interessi commerciali ostacolano o addirittura si oppongono alle aspettative di salute pubblica le agenzie regolatorie devono essere in grado di approvare le indicazioni che soddisfano le esigenze dei pazienti dal punto di vista della migliore efficacia, della sicurezza e del costo. La comunità scientifica deve impegnarsi affinché l’attuale normativa europea venga modificata e ricercatori indipendenti e autorità regolatorie possano essere riconosciuti come richiedenti (applicant) per allargare l’indicazione di un farmaco sulla base di studi clinici indipendenti.
- Brit Med J 2012;344:e2941. CDI #fff#
- Br J Ophthalmol 2011;95:308-17. CDI #fff#
- Am J Ophthalmol 2011;151:887-95. CDI #nff#
- Brit Med J 2012;344:e3012. CDI #fff#
- ARVO 2011 Visionary Genomics. Poster 664. CDI #nnn#
- Clin Experiment Ophthalmol 2012;40:3-5. CDI #fff#
- Ophthalmology 2012;119:1388-98. CDI #nff#
- Ophthalmology 2012 May;199:1399-411. CDI #nff#
- Brit Med J 2012;344:e3275. CDI #fff#
- Lancet 2012;379:1728-38. CDI #nnn#
- BMC Ophthalmol 2010;10:31. CDI #nff#
- Arch Ophthalmol 2010;128:1273-9. CDI #nff#
- Ophthalmology 2012;119:1604-8. CDI #fff#
- FDA alerts health care professionals of infection risk from repackaged Avastin intravitreal injections 30-8-2011. CDI #fff#
- New York Times 2011; 4 ottobre
- Brit Med J 2010;341:c3721. CDI #fff#
- Brit Med J 2012;344:e3553. CDI #fff#
Chiara Biagi
CReVIF, Centro Regionale di Valutazione e Informazione sui Farmaci, Dipartimento di Farmacologia, Università di Bologna