I preparati di erbe nell’oncologia
I dati della letteratura scientifica indicano un uso in costante aumento di medicine non convenzionali nei pazienti oncologici, con una prevalenza stimata tra il 37% e l’83% per l’utilizzo di queste terapie nel loro complesso e dal 13% al 63% per i preparati a base di erbe. I valori variano molto da paese a paese e anche per tipologia di malattia; è stato, per esempio, riportato che il 50% delle pazienti con neoplasie della mammella o ginecologiche assume rimedi a base di erbe, vitamine o altri supplementi durante il trattamento, con particolare riferimento ai prodotti della medicina tradizionale cinese.1,2 Sebbene la fitoterapia sia una modalità di trattamento che presenta meno effetti avversi rispetto alla farmacoterapia convenzionale, sono ben noti sia i rischi di tossicità diretta dei preparati vegetali, sia quelli di interazione con le terapie farmacologiche.
Una sottovalutazione dell’assunzione di prodotti vegetali da parte dei pazienti può indurre in errore l’oncologo di fronte a una reazione avversa da fitoterapici, portandolo, a volte, ad attribuire l’evento osservato alla tossicità del trattamento convenzionale o alla progressione della malattia.3
I prodotti a base di erbe più utilizzati nei pazienti oncologici sono il ginseng (Panax ginseng), il vischio (Viscum album), la miscela di erbe Essiac, il ginkgo (Ginkgo biloba), l’aglio (Allium sativum), l’astragalo (Astragalus membranaceus), il fungo cinese Ling Zhi (Ganoderma lucidum), la curcuma (Curcuma longa), la liquirizia (Glycyrrhiza glabra), lo zenzero (Zingiber officinale), l’estratto di gramigna (Agropyron repens) e l’uva (Vitis vinifera). Per alcuni di questi prodotti sono disponibili prove di efficacia, mentre per altri l’uso si basa esclusivamente su conoscenze tradizionali.
Il marcato aumento nell’uso di rimedi erboristici può portare a potenziali interazioni, spesso purtroppo ancora difficili da prevedere a causa della generale mancanza di informazioni dettagliate sull’azione farmacologica di queste sostanze. In linea generale le interazioni si manifestano soprattutto a livello dell’assorbimento e del metabolismo, dato che la maggior parte dei farmaci antitumorali è substrato della glicoproteina P o di altri trasportatori e va incontro a metabolismo di fase I e/o II e anche molte sostanze di origine naturale sono in grado di indurre o inibire i medesimi enzimi e trasportatori.4
E’ interessante notare che tali meccanismi di interazione sono oggi in studio anche con finalità positive: alcuni studi preclinici hanno infatti dimostrato che diversi fitoterapici potrebbero aumentare la sensibilità delle cellule tumorali ai farmaci chemioterapici, migliorando pertanto la risposta del tumore alla terapia. In alcuni casi ciò è suffragato da studi clinici randomizzati e da metanalisi e revisioni della letteratura, come per esempio per l’Astragalus membranaceus nelle neoplasie polmonari5 e per il Ganoderma lucidum in vari tipi di neoplasie6. Tale approccio avrebbe anche un possibile utilizzo per ridurre la tossicità della chemioterapia.
All’estremo opposto dello spettro, però, alcune erbe come iperico, aglio, ginkgo, echinacea, ginseng e kava sono state segnalate come causa di potenziali interazioni farmacocinetiche negative con farmaci antitumorali. Alcune di queste piante possono per esempio aumentare la tossicità dei chemioterapici, come è stato descritto per l’epatite da imatinib in un paziente che stava assumendo anche ginseng, un ben noto inibitore enzimatico del citocromo 3A4.7 In altri casi si può assistere invece a una riduzione di efficacia, come per esempio nel caso dell’iperico che si comporta da induttore dello stesso citocromo 3A4, o del tè verde che può ridurre l’efficacia clinica del bortezomib.8 La conoscenza e lo studio delle interazioni tra erbe e farmaci chemioterapici e dei loro meccanismi cellulari e molecolari si sono sviluppati solo recentemente e molte di esse sono pertanto ancora imprevedibili. Tenuto conto anche di questi fattori, i pochi dati di farmacologia oggi disponibili offrono una scarsa guida per la pratica clinica e non sono sufficienti per fornire raccomandazioni definite.
Sebbene alcune erbe abbiano mostrato una certa efficacia nel controllo di alcuni sintomi delle malattie neoplastiche (per esempio alcune formule tradizionali cinesi nel carcinoma rinofaringeo9) e altre abbiano un ruolo ben consolidato nel controllo degli effetti collaterali della chemioterapia (per esempio fatica per il ginseng, nausea per lo zenzero eccetera) il loro utilizzo non è certo scevro di effetti avversi e rischi di interazione. L’assunzione di questi prodotti da parte dei pazienti oncologici dovrebbe essere ridotta al minimo necessario, limitata alle indicazioni per le quali l’efficacia sia stata dimostrata e in nessun caso lasciata all’automedicazione. Gli oncologi dovrebbero sempre interrogare attivamente i loro pazienti per conoscere l’eventuale ricorso a integratori di origine vegetale e, qualora lo ritenessero necessario, ricorrere agli opportuni sistemi di fitovigilanza e farmacovigilanza per una valutazione dei rischi di interazione con la terapia.
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Eugenia Gallo e Alfredo Vannacci
Unità di Farmacoepidemiologia, farmacovigilanza e fitovigilanza, Università degli Studi di Firenze, Centro FV Toscana