Epistassi da non trascurare
E’ in atto, nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, uno studio osservazionale volto a rilevare nell’ambito del reparto di Medicina Interna C quale sia l’incidenza di eventi avversi e in quale misura questi siano riconducibili a errori nel trattamento farmacologico attraverso la revisione sistematica delle cartelle cliniche (vedi Focus, giugno 2010). Il caso seguente è stato osservato nel corso dello studio.
Lavinia ha 78 anni ed è in buone condizioni generali. Da alcuni mesi lamenta dispnea per sforzi modesti ed episodi di cardiopalmo di breve durata a risoluzione spontanea. L’aggravarsi di questi sintomi negli ultimi giorni spinge la donna a recarsi in Pronto soccorso, dove viene posta l’indicazione al ricovero, giustificato da un quadro di iniziale scompenso cardiaco e riscontro di fibrillazione atriale, non nota in precedenza.
Dall’anamnesi emergono: ipertensione arteriosa nota da alcuni anni, epatopatia cronica HBV-correlata, diagnosi di artrite reumatoide in trattamento da circa 10 anni con corticosteroidi, insufficienza renale cronica e, infine, diverticolosi del sigma. Dopo terapia diuretica, si assiste al ripristino di un adeguato compenso cardiocircolatorio, con netto miglioramento della sintomatologia dispnoica e contestuale calo ponderale di circa 2 kg. Per quanto concerne il riscontro di fibrillazione atriale permanente, la cui insorgenza non è sicuramente databile, si imposta una terapia anticoagulante inizialmente con calciparina sottocute, cui segue dopo cinque giorni l’embricazione con warfarin, con monitoraggio quotidiano dei valori di PT-INR. Il quarto giorno di embricazione del warfarin, che corrisponde al primo giorno in cui la terapia anticoagulante orale risulta nel range terapeutico (PT 2,03 INR), si verificano due episodi di epistassi. Il primo a risoluzione spontanea in pochi minuti; il secondo, a distanza di alcune ore, necessita invece di posizionamento di tamponi imbevuti con acido tranexamico. Ai controlli successivi dell’emocromo non si rileva un’anemizzazione significativa.
La paziente viene dimessa dopo 5 giorni, nei quali prosegue solo la terapia anticoagulante orale, senza ulteriori episodi emorragici. Alla dimissione si consiglia stretto monitoraggio della terapia anticoagulante mediante ravvicinati controlli del PT-INR.
Fondamentale è il monitoraggio
Il caso clinico, non eclatante e fortunatamente a esito positivo, sottolinea il rischio emorragico associato all’uso dei farmaci antitrombotici. A ciò concorrono l’inibizione del processo coagulativo/trombotico di per sé, per cui il rischio emorragico è funzione dell’intensità del trattamento, le caratteristiche di farmacocinetica e farmacodinamica dei singoli principi attivi e le caratteristiche del soggetto trattato. Nell’insieme i fenomeni emorragici si verificano nel 5-10% dei casi trattati con questi farmaci. Nel caso specifico non va dimenticata l’età della paziente. I soggetti anziani hanno non solo un maggior rischio di sviluppare una malattia tromboembolica sia arteriosa sia venosa, ma un contemporaneo aumento del rischio emorragico se trattati. Una storia di diatesi emorragica, recenti sanguinamenti o interventi chirurgici sono alcune delle condizioni di elevato rischio emorragico per le quali il monitoraggio deve essere intensivo o ci sono specifiche controindicazioni.
Il caso proposto fa riferimento a una donna anziana con fibrillazione atriale che ha sviluppato episodi emorragici dopo alcuni giorni di trattamento con eparina calcica, somministrata a dosi terapeutiche per la prevenzione dell’embolia cardiogena. Gli eventi emorragici si sono verificati nella fase di embricazione con il warfarin, farmaco con il quale era previsto la paziente fosse trattata in seguito. La condotta terapeutica appare corretta in riferimento alla condizione clinica, tuttavia il mancato monitoraggio non permette di definire l’adeguatezza della dose di eparina prescelta sia in relazione all’atteso effetto antitrombotico sia al rischio di sovradosaggio.
L’eparina calcica è costituta da mucopolisaccaridi di peso molecolare eterogeneo ottenuti con metodo estrattivo. Il legame a proteine plasmatiche, cellule endoteliali, piastrine e macrofagi contribuisce a determinare una cinetica variabile e non lineare, condizionata in misura prevalente dalla rimozione del farmaco da parte di cellule endoteliali e macrofagi e in parte dall’escrezione renale. L’emivita dell’eparina calcica varia quindi in funzione della dose, con conseguente imprevedibilità dell’effetto terapeutico anche in uno stesso individuo.[1] Ciò rende necessario – come peraltro raccomandato dalle linee guida delle società scientifiche e dalla scheda tecnica del farmaco[2] – il monitoraggio di laboratorio mediante saggio del tempo di tromboplastina parziale (aPTT) quando si sia scelto di utilizzare dosi terapeutiche di eparina calcica. Il mancato monitoraggio può essere, quindi, un errore nel trattamento farmacologico.
Nel caso descritto il mancato monitoraggio potrebbe essere frutto della familiarità del medico prescrittore con il farmaco e dell’erronea considerazione che un tempo di picco ritardato e una differente modalità di somministrazione garantiscano all’eparina calcica un’efficacia e una tollerabilità comparabili o superiori a quelle dell’eparina sodica somministrata per via endovenosa. La sovrapposizione del warfarin all’eparina potrebbe aver determinato una parziale sovrastima dell’effetto in vitro del warfarin o, nel caso l’embricazione fosse stata protratta, un reale maggior rischio emorragico. Nell’insieme è opportuno confermare la raccomandazione di un attento monitoraggio, mediante saggio dell’aPTT come guida alla scelta della dose e come rassicurazione per il medico prescrittore nei confronti di un possibile fallimento terapeutico e delle complicanze emorragiche conseguenti alla somministrazione di eparina calcica, soprattutto quando siano somministrati insieme farmaci antipiastrinici o anticoagulanti orali.
- Chest 2008;133:141s-59s. CDI
- Chest 2008;133:546s-92s. CDI
Pietro Minuz, Francesca Paluani e Sara Bonafini
Medicina Interna C, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona