La fretta può essere dannosa alla salute
Ogni intervento medico, per quanto sia positivo, ha sempre purtroppo una contropartita di segno contrario. In altre parole, ogni beneficio si accompagna a un rischio.
E’ quindi molto difficile da parte di chi deve decidere sulla commercializzazione di un nuovo farmaco (EMA in Europa, FDA negli Stati Uniti) contemperare due esigenze legittime ma opposte: mettere a disposizione dei pazienti il più presto possibile un nuovo farmaco e al tempo stesso essere sicuri di non danneggiare gli stessi pazienti a causa degli effetti tossici del farmaco.
Il problema è ancor più di difficile soluzione se si considera che gli studi clinici controllati e randomizzati – i trial su cui si basa l’approvazione di un nuovo farmaco – sono essenzialmente finalizzati a determinare l’esistenza di un beneficio, ma non hanno la capacità di identificare il rischio.
Infatti gli effetti tossici dei farmaci possono essere i più strani e inattesi e possono manifestarsi solo nel tempo. Quindi la loro identificazione richiede un maggior numero di pazienti e un’osservazione molto più prolungata rispetto a quanto solitamente si fa negli studi clinici controllati. Inoltre, mentre i benefici sono spesso evidenti, gli effetti tossici a volte si possono confondere con le conseguenze della malattia e quindi sono più difficili da identificare.
Pertanto, nel processo di sviluppo di un nuovo farmaco, il pendolo può oscillare fra la necessità di valutare il prodotto nei pazienti il più presto possibile dopo gli studi preclinici e la prudenza che richiede ulteriori prove e accertamenti, dilazionando la disponibilità del farmaco per la clinica.
La crisi economica e la mancanza di innovazione ha spinto la FDA a creare percorsi preferenziali per tutti quei farmaci che, almeno in teoria, potrebbero soddisfare importanti bisogni di salute in pazienti che hanno poche alternative disponibili. Nel 2011 la procedura veloce cosiddetta “fast track” è stata accordata a ben 16 dei 35 nuovi prodotti presentati dalle aziende farmaceutiche. La rivista scientifica JAMA, organo ufficiale dei medici statunitensi, propone a titolo d’esempio le modalità con cui sono stati approvati tre dei 16 farmaci valutati con procedura veloce.
Vantenatib è un nuovo farmaco antitumorale che è stato studiato in un solo trial (normalmente ne vengono richiesti almeno due) su 331 pazienti con un tumore avanzato alla tiroide. Lo studio mostra un rallentamento della progressione del tumore ma il farmaco, a causa della sua tossicità, non ha prolungato la vita dei pazienti trattati rispetto ai controlli. La tossicità era probabilmente dovuta, da parte del farmaco, all’interferenza sul tratto QTc dell’elettrocardiogramma. Il farmaco è stato comunque approvato seppure con alcune restrizioni.
Fingolimod è un prodotto destinato al trattamento della sclerosi multipla grazie a un’attività immunodepressiva che esercita inibendo l’efflusso dei linfociti dai linfonodi. In uno studio della durata di due anni il nuovo farmaco ha mostrato di essere superiore al placebo nel diminuire le ricadute neurologiche, così come del resto un farmaco (glatiramer) considerato lo standard di cura per la malattia in studio. Tuttavia il profilo di sicurezza di fingolimod suscita molte perplessità soprattutto perché tale farmaco viene proposto come trattamento di prima linea, nonostante questo tipo di impiego in Europa sia stato negato dall’EMA. Senza entrare nei dettagli, gli effetti tossici riguardano: blocco atrio-ventricolare, ridotta funzionalità respiratoria, infezioni, danni epatici, teratogenicità e cancerogenicità. Data questa tossicità il prodotto è stato approvato a una dose più bassa di quelle studiate, in attesa di altre ricerche.
Dabigatran è il terzo farmaco in discussione. E’ un anticoagulante che viene impiegato in varie indicazioni inclusa la prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale. E’ stata sufficiente la presentazione di un solo studio per stabilire che il dabigatran poteva essere considerato un’alternativa al warfarin, anche se il vantaggio clinico complessivo e la tendenza al sanguinamento non erano dissimili da quelli indotti dal warfarin medesimo. La diffusione del prodotto sul mercato ha messo subito in evidenza che, soprattutto negli anziani, a causa del declino della funzione renale e dell’interazione con altri farmaci, il dabigatran induceva una tendenza al sanguinamento molto maggiore rispetto a quella riscontrata nello studio che aveva determinato l’approvazione da parte della FDA. Tra l’altro, in assenza di un antidoto, il sanguinamento da dabigatran è più difficile da neutralizzare rispetto a quello indotto da warfarin.
La conclusione viene da sé: era proprio necessario approvare così velocemente questi tre farmaci? E’ vero che erano destinati alla cura di malattie gravi, ma si è sicuri che alla fine non si inducano più danni che benefici ai pazienti? E non c’è poi anche il rischio di ritirare il farmaco dal commercio proprio per averlo studiato troppo superficialmente? Le scorciatoie possono essere molto dannose. Non vi sono sostituti a uno studio sistematico di un farmaco. Le dosi da somministrare non si possono inventare, devono essere stabilite attraverso adeguate valutazioni. Quando i farmaci mostrano effetti tossici non si possono avere dosi uguali per tutti; devono essere stabilite in base al peso corporeo, alla funzione renale e ad altre variabili. Solo così si può essere sicuri di non danneggiare il paziente.
Analogamente si dovrebbe esercitare molta cautela, riservando in un primo tempo l’impiego di un nuovo farmaco ai casi in cui altri trattamenti abbiano fallito e comunque inizialmente solo in centri specializzati. C’è un’eccessiva corsa a occupare aree di mercato piuttosto che giovare agli ammalati. Gli enti regolatori dovrebbero essere sempre cauti ed esercitare una buona dose di prudenza, sapendo che le industrie farmaceutiche nel presentare i loro dossier tendono sempre a mettere in evidenza tutti gli aspetti positivi del nuovo farmaco minimizzandone i rischi. Ciò dovrebbe essere ancora più importante nel passaggio dal mercato alla rimborsabilità dei nuovi farmaci da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
E’ ora che gli interessi dei pazienti siano posti al centro dell’attenzione, evitando che la corsa al profitto e un desiderio acritico di beneficio si traducano in gravi danni per gli ammalati.
Silvio Garattini
direttore Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano