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Discutibile associazione tra paracetamolo e asma
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Sta facendo rumore una ricerca retrospettiva che ipotizza un legame tra uso di paracetamolo nei bambini e insorgenza di malattie allergiche
Uno studio, pubblicato su Lancet1 suggerisce l’ipotesi che l’uso del paracetamolo in età pediatrica possa essere un fattore di rischio per lo sviluppo di asma, rinocongiuntivite ed eczema nell’infanzia.Le caratteristiche della ricerca
Lo studio è stato condotto su 205.487 bambini di età compresa tra i sei e i sette anni, seguiti in 73 centri di 31 paesi, come parte della fase 3 dello Studio Internazionale dell’Asma e delle Allergie nell’Infanzia (ISAAC).Ai genitori è stato somministrato un questionario circa i sintomi di asma, rinocongiuntivite ed eczema e parecchi fattori di rischio, compreso l’uso di paracetamolo per la febbre nel primo anno di vita e la frequenza d’uso del farmaco nei 12 mesi precedenti.
I dati ottenuti sono stati sottoposti a un’analisi multivariata, da cui risulta che l’uso di paracetamolo:
- nel primo anno di vita si associava a un rischio aumentato di asma all’età di 6-7 anni (odds ratio 1,46);
- nei precedenti 12 mesi si associava a un rischio aumentato di asma sia per l’uso frequente (una volta al mese o più: odds ratio 3,23) sia per l’uso meno frequente (una volta l’anno o più: odds ratio 1,61) rispetto ai bambini che non erano stati mai trattati con il farmaco;
- aumentava il rischio di asma grave e di rinocongiuntivite ed eczema.
Come interpretare i risultati
Gli stessi autori dello studio ricordano che i dati raccolti tramite questionario sono soggetti al recall bias (cioè al difetto metodologico che può sottostare alla raccolta di dati dipendenti dalla memoria degli intervistati). Va inoltre sottolineato che l’esito primario era proprio l’associazione tra l’uso di paracetamolo molti anni prima (e non nell’anno precedente alla compilazione del questionario) e i sintomi di asma tra i sei e i sette anni d’età.L’analisi multivariata sembra invece scongiurare il rischio che possano avere agito fattori confondenti nell’associazione tra paracetamolo e asma. Va però ricordata la difficoltà di fare diagnosi di asma nei bambini sotto i cinque anni e all’età indagata. Tra i sei e i sette anni, infatti, molti bambini non sono ancora stati studiati rispetto alla funzionalità respiratoria e l’inquadramento diagnostico è in via di definizione.
D’altra parte gli autori stessi sottolineano che uno studio retrospettivo come questo non può stabilire un nesso di causalità e sollecitano la conduzione di uno studio controllato e randomizzato per fare chiarezza.
Per quanto concerne infine i conflitti d’interesse, nonostante lo studio fosse finanziato da aziende farmaceutiche non ci sono state influenze sul disegno e l’interpretazione dei risultati.
Le implicazioni per la pratica quotidiana
Le recenti linee guida per la gestione della sindrome influenzale (maggio 2008) a cura del Sistema nazionale linee guida[2], coordinato dall’Istituto superiore di sanità, si occupano anche del trattamento nel bambino. La cosiddetta sindrome influenzale, che meglio definirei flogosi delle alte e medie vie aeree, rappresenta la fetta più consistente di patologia vista dal pediatra di famiglia. La gran parte di queste flogosi delle vie aeree è di origine virale ed è a risoluzione spontanea, pur essendo un fattore importante di disagio per i genitori e l’organizzazione familiare. Una delle raccomandazioni della linea guida citata fa riferimento all’automedicazione con antipiretici: “Visto il notevole ricorso all’autoprescrizione, i cittadini devono essere informati sulla natura sintomatica di questa terapia e sull’opportunità di fare ricorso ai farmaci solo quando si ritiene necessario ridurre il malessere e la sintomatologia dolorosa”.Va inoltre precisato che l’utilizzo di somministrazioni regolari di antipiretici per il controllo della febbre nel bambino non riduce l’incidenza di convulsioni febbrili.
Sulla base di queste considerazioni, sembra ragionevole, in attesa di ulteriori dati a supporto dell’associazione tra asma e paracetamolo, limitare l’uso dei farmaci antipiretici e verificarne i dosaggi, soprattutto se impiegati spontaneamente dai genitori. La gestione della febbre nel bambino non può prescindere da un’adeguata comunicazione con la famiglia, a partire dalle paure e timori sottostanti.3 E’ evidente infatti che l’ansia blocca le capacità cognitive nei genitori; d’altra parte il ruolo del pediatra deve essere sempre più caratterizzato da competenze comunicative e relazionali che consentano di non ridurre l’approccio al problema febbre alla semplice prescrizione del farmaco.
Bibliografia:
- Lancet 2008;372:1039-48. CDI #nnn#
- SNLG 2008;16.
- Quaderni ACP 2008;4:175-6.
Michele Gangemi
pediatra di famiglia, Verona Presidente dell’Associazione culturale pediatri
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