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Rubrica Farmaci & Gravidanza
Val la pena di usare gli antivirali per l’influenza?
La pandemia influenzale da virus A/H1N1 sembra comportare un elevato rischio di complicazioni nella donna gravida, soprattutto nel corso del secondo, terzo trimestre di gestazione[1,2] e nelle quattro settimane successive al parto. Indipendentemente dal trimestre, il rischio maggiore è a carico delle donne con anamnesi positiva per patologie cardiache o polmonari croniche[3].
Le indicazioni ministeriali, in linea con quelle internazionali, raccomandano l’uso di farmaci antivirali (oseltamivir per bocca; zanamivir per inalazione) durante la gravidanza o l’allattamento nei casi sospetti, probabili o confermati di influenza A (http://www.ministerosalute.it/). Nello stesso documento si fa presente che l’utilizzo dei farmaci antivirali in gravidanza deve essere limitato ai casi di donne che presentino malattie croniche preesistenti alla gravidanza nonché ai casi di malattia influenzale con decorso complicato. In queste circostanze il trattamento può essere effettuato anche nel primo trimestre, nel più breve tempo possibile dall’insorgere dei sintomi.
Le informazioni disponibili riguardo agli effetti fetali secondari a un’esposizione prenatale ai due antivirali indicati nel caso di influenza da virus A/H1N1 sono a oggi molto carenti. Sia per oseltamivir sia per zanamivir, gli studi preclinici hanno rilevato che livelli ematici superiori di 50-90 volte a quelli considerati efficaci nell’uomo possono essere tossici per la madre ma non causano malformazioni maggiori anche se, nel caso di oseltamivir, possono determinare alterazioni scheletriche lievi nel feto[4]. Studi eseguiti ex vivo su cellule placentari umane mostrano che l’oseltamivir viene metabolizzato quasi completamente già a livello placentare[5]. Per quanto riguarda zanamivir secondo uno studio di farmacocinetica del 1999 su volontari sani[6] solo il 10-20% della dose inalata è biodisponibile e il 90% della dose assorbita viene eliminata con le urine.
I due farmaci appartengono alla categoria C della FDA, in quanto non esistono studi clinici su donne in gravidanza[7]. In un lavoro del 2009[8] vengono riportati due piccoli gruppi di 61 e 90 donne esposte a oseltamivir (il primo gruppo in periodo imprecisato, il secondo nel primo trimestre). Tra le 61 donne vi sono stati un caso di trisomia 21 e un caso di anencefalia, mentre nel gruppo di 90 donne vi è stata una malformazione (1,1%), incidenza che rientra nel range di malformazioni maggiori che avvengono nella popolazione generale (1-3%). Riguardo a zanamivir, invece, lo studio riferisce di sole 4 donne (1 aborto spontaneo, 1 interruzione volontaria di gravidanza, 2 nati sani), ma ovviamente il numero è troppo piccolo per trarre una conclusione.
Un documento dell’EMEA del mese di luglio 2009 analizza il database della Roche che contiene i dati di 232 donne esposte a oseltamivir, 73% delle quali giapponesi, senza però precisare il trimestre di gravidanza. L’esito della gravidanza è conosciuto solo per la metà di queste (115 donne), tra cui 2 bambini prematuri e 10 con malformazioni anatomiche importanti. In tre di questi (2 casi di difetti al setto ventricolare e 1 di anoftalmo) l’esposizione di oseltamivir è avvenuta durante il periodo critico per il tipo di malformazione. L’EMEA conclude che non sembra che tale antivirale sia un rischio teratogeno reale, essendo i dati ritenuti insufficienti[9]. Tuttavia, a nostro avviso, tale scelta può sembrare sorprendente.
In considerazione del fatto che la embriogenesi è completa alla fine del primo trimestre di gravidanza e che la sindrome influenzale ha sintomi più gravi nel secondo, terzo trimestre e in donne con patologie croniche, si potrebbe ritenere accettabile la terapia con antivirali in questo periodo gestazionale. Teniamo però presente che l’efficacia di tali farmaci è modesta: se usati entro le 48 ore dall’insorgenza dei sintomi sono in grado di ridurre la loro durata di circa 14 ore e quando usati come profilassi post esposizione sembrano ridurre del 7-10% il rischio di contrarre l’influenza rispetto ai non trattati. Sarà quindi il medico, dopo una valutazione individuale dei benefici e dei rischi, che deciderà se prescrivere o meno alla donna in gravidanza una terapia con tali farmaci.
Le indicazioni ministeriali, in linea con quelle internazionali, raccomandano l’uso di farmaci antivirali (oseltamivir per bocca; zanamivir per inalazione) durante la gravidanza o l’allattamento nei casi sospetti, probabili o confermati di influenza A (http://www.ministerosalute.it/). Nello stesso documento si fa presente che l’utilizzo dei farmaci antivirali in gravidanza deve essere limitato ai casi di donne che presentino malattie croniche preesistenti alla gravidanza nonché ai casi di malattia influenzale con decorso complicato. In queste circostanze il trattamento può essere effettuato anche nel primo trimestre, nel più breve tempo possibile dall’insorgere dei sintomi.
Le informazioni disponibili riguardo agli effetti fetali secondari a un’esposizione prenatale ai due antivirali indicati nel caso di influenza da virus A/H1N1 sono a oggi molto carenti. Sia per oseltamivir sia per zanamivir, gli studi preclinici hanno rilevato che livelli ematici superiori di 50-90 volte a quelli considerati efficaci nell’uomo possono essere tossici per la madre ma non causano malformazioni maggiori anche se, nel caso di oseltamivir, possono determinare alterazioni scheletriche lievi nel feto[4]. Studi eseguiti ex vivo su cellule placentari umane mostrano che l’oseltamivir viene metabolizzato quasi completamente già a livello placentare[5]. Per quanto riguarda zanamivir secondo uno studio di farmacocinetica del 1999 su volontari sani[6] solo il 10-20% della dose inalata è biodisponibile e il 90% della dose assorbita viene eliminata con le urine.
I due farmaci appartengono alla categoria C della FDA, in quanto non esistono studi clinici su donne in gravidanza[7]. In un lavoro del 2009[8] vengono riportati due piccoli gruppi di 61 e 90 donne esposte a oseltamivir (il primo gruppo in periodo imprecisato, il secondo nel primo trimestre). Tra le 61 donne vi sono stati un caso di trisomia 21 e un caso di anencefalia, mentre nel gruppo di 90 donne vi è stata una malformazione (1,1%), incidenza che rientra nel range di malformazioni maggiori che avvengono nella popolazione generale (1-3%). Riguardo a zanamivir, invece, lo studio riferisce di sole 4 donne (1 aborto spontaneo, 1 interruzione volontaria di gravidanza, 2 nati sani), ma ovviamente il numero è troppo piccolo per trarre una conclusione.
Un documento dell’EMEA del mese di luglio 2009 analizza il database della Roche che contiene i dati di 232 donne esposte a oseltamivir, 73% delle quali giapponesi, senza però precisare il trimestre di gravidanza. L’esito della gravidanza è conosciuto solo per la metà di queste (115 donne), tra cui 2 bambini prematuri e 10 con malformazioni anatomiche importanti. In tre di questi (2 casi di difetti al setto ventricolare e 1 di anoftalmo) l’esposizione di oseltamivir è avvenuta durante il periodo critico per il tipo di malformazione. L’EMEA conclude che non sembra che tale antivirale sia un rischio teratogeno reale, essendo i dati ritenuti insufficienti[9]. Tuttavia, a nostro avviso, tale scelta può sembrare sorprendente.
In considerazione del fatto che la embriogenesi è completa alla fine del primo trimestre di gravidanza e che la sindrome influenzale ha sintomi più gravi nel secondo, terzo trimestre e in donne con patologie croniche, si potrebbe ritenere accettabile la terapia con antivirali in questo periodo gestazionale. Teniamo però presente che l’efficacia di tali farmaci è modesta: se usati entro le 48 ore dall’insorgenza dei sintomi sono in grado di ridurre la loro durata di circa 14 ore e quando usati come profilassi post esposizione sembrano ridurre del 7-10% il rischio di contrarre l’influenza rispetto ai non trattati. Sarà quindi il medico, dopo una valutazione individuale dei benefici e dei rischi, che deciderà se prescrivere o meno alla donna in gravidanza una terapia con tali farmaci.
Bibliografia:
- MMWR 2009;58:497-500.
- Lancet 2009;374:451-8. CDI #rrr#
- CMAJ 2007; 176:463-468. CDI #rrr#
- Drugs in pregnancy and lactation: a reference guide to fetal and neonatal risk, Lippincott William & Wilkins, Philadelphia, 7th edition, 2005.
- Infect Dis Obstet Gynecol 2008;ID:927574.
- Clin Pharmacokinet 1999;36:1-11. CDI #nnn#
- http://www.cdc.gov/h1n1flu/clinician_pregnant.htm (accesso verificato l’11/11/2009)
- CMAJ 2009;181:55-8. CDI #rrr#
- http://www.emea.europa.eu/humandocs/PDFs/EPAR/tamiflu/28766209en.pdf (accesso verificato l’11/11/2009)
a cura di Serena Belli
Servizio genetica APSS Trentino, Dipartimento di laboratorio
Servizio genetica APSS Trentino, Dipartimento di laboratorio