Il caso ceftriaxone
Dal primo gennaio alla fine di giugno di quest’anno nella banca dati della Rete nazionale di farmacovigilanza sono state inserite 109 segnalazioni di reazioni avverse da ceftriaxone. Un dato decisamente elevato se confrontato con le 75 segnalazioni dello scorso anno nello stesso periodo. Si è avuto un incremento dei decessi, passati da due a quattro, e delle reazioni gravi, da 37 a 53, con un’alta percentuale di casi di shock anafilattico (14%). Questi dati sono in parte legati all’incremento generale del tasso di segnalazione italiano, quasi raddoppiato negli ultimi due anni, e in parte all’aumento negli ultimi anni delle prescrizioni del ceftriaxone. Infatti dal 2001 al 2008 si è assistito a un notevole incremento, oltre il 75%, di prescrizione/consumo di ceftriaxone anche legato al calo del prezzo per la decadenza del brevetto nel 2004 e per l’introduzione, quindi, sul mercato dei generici.
Il ceftriaxone è un antibiotico betalattamico per uso sistemico ed è commercializzato in Italia solo in forma iniettiva e le indicazioni terapeutiche autorizzate sono: “... uso elettivo e specifico in infezioni batteriche gravi di accertata o presunta origine da Gram negativi difficili o da flora mista con presenza di Gram negativi resistenti ai più comuni antibiotici. In particolare il prodotto trova indicazione, nelle suddette infezioni, in pazienti defedati e/o immunodepressi. Profilassi delle infezioni chirurgiche”. Sembra chiaro che l’uso massiccio, nella medicina generale, sia poco compatibile con l’indicazione terapeutica. Inoltre, va sottolineato che i dati di consumo rilevano una fortissima variabilità regionale, con un utilizzo nelle regioni del Sud che è più del doppio di quelle del Nord, non giustificata da dati di diversa prevalenza delle malattie infettive. A conferma di ciò, sul Bollettino di informazione sui farmaci nel 2006 era comparsa una valutazione dell’AIFA sull’appropriatezza d’uso del ceftriaxone basata sulle diagnosi indicate nelle segnalazioni di reazioni avverse. Era stato osservato che in quasi il 30% dei casi l’indicazione non era tra quelle autorizzate[1].
Sia i dati di consumo sia le segnalazioni di reazioni avverse sembrano perciò suggerire un uso improprio del ceftriaxone, con la conseguenza che si espongono inutilmente i pazienti al rischio di reazioni avverse gravi e fatali e all’insorgenza di resistenze batteriche.
- BIF 2006;13(1):28-9.