Martino ha sentito la voce di Dio
Martino ha 44 anni, è una persona tranquilla, sensibile, un po’ timida e ha sempre goduto di buona salute. Si rivolge al proprio medico di medicina generale perché da due giorni ha febbre con tosse e cefalea. Il curante non trova nulla di rilevante all’esame obiettivo, prescrive paracetamolo e un sedativo per la tosse. Dopo tre giorni, persistendo i sintomi, Martino torna dal medico che, riscontrando solo qualche sporadico rumore polmonare alla base destra, consiglia una radiografia del torace e prescrive claritromicina, 500 mg ogni 12 ore. Alla sera del terzo giorno di terapia antibiotica Martino ha un quadro di agitazione psichica, con stato di grande ansia e delirio a sfondo mistico: Dio gli ha parlato in sogno e lo ha scelto per salvare il mondo dall’ingiustizia e liberare la suocera dalla malattia che l’affligge da qualche tempo. E’ visibilmente angosciato da questa grande responsabilità che gli sarebbe stata affidata e sente il bisogno di andare da un prete per comunicargli questo compito. I parenti chiamano allora il 118: Martino viene portato in Pronto soccorso e quindi ricoverato nel Reparto di psichiatria. Nel giro di poche ore il paziente si presenta più lucido e critico nei confronti dell’episodio allucinatorio, ma permane un certo grado di depersonalizzazione. In reparto la terapia assunta a domicilio viene sospesa e il paziente è sottoposto a osservazione e a supporto psicoterapico, senza alcun trattamento farmacologico. Durante il ricovero rimane presente un’iperpiressia moderata, con valori massimi di 37,7 °C. Gli esami di laboratorio rilevano solo un lieve aumento degli indici di flogosi e delle transaminasi, mentre la radiografia del torace mostra una velatura alla base polmonare destra. Martino viene dimesso dopo tre giorni con diagnosi di “allucinosi organica in polmonite virale”, senza terapia farmacologica, né psicoterapia, in quanto lo scompenso psicotico si è risolto completamente senza esiti. Dopo alcuni giorni, dato che febbre e tosse non sono ancora scomparsi del tutto, il medico curante prescrive un altro antibiotico (questa volta dà la preferenza a una cefalosporina), cui segue la regressione completa dei sintomi e del quadro radiologico.
Un caso tipico di antibiomania
La possibile insorgenza di disturbi psichiatrici indotti da claritromicina è una reazione attesa e descritta nella letteratura internazionale in numerosi case report con il termine “antibiomania”. Questa parola è stata coniata circa 50 anni fa per descrivere una reazione indotta dalla somministrazione di penicillina-procaina con comparsa di manifestazioni neurologiche (insonnia, confusione e vertigini) e/o psichiatriche (ansietà, mania, allucinazioni e psicosi). Successivamente tale quadro clinico è stato osservato anche per altri antibiotici quali claritromicina, eritromicina e isoniazide[1].
Il meccanismo con il quale questi antibiotici provocano modificazioni comportamentali non è chiaro: per la claritromicina è stato ipotizzato il possibile coinvolgimento di un suo metabolita attivo (14-idrossiclaritromicina) che, per la sua elevata liposolubilità, è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di interferire con la neurotrasmissione mediata da glutammato e/o GABA.2 Recenti indagini attribuiscono un possibile ruolo di questo antibiotico nella modificazione del metabolismo di cortisolo e di alcune prostaglandine che, in letteratura, sono state associate all’insorgenza di sintomi maniacali.3 Nel caso clinico riportato tre sono i fattori che indicano la claritromicina come possibile agente causale: l’assenza anamnestica di precedenti disturbi psichiatrici, l’associazione temporale e la rapida risoluzione degli stessi in seguito alla sospensione del farmaco.
Nel database del GIF (www.gruppogif.org) sono presenti al 15 aprile 2009 altri 16 casi di allucinazioni da claritromicina, di cui tre in età pediatrica. Nel 50% dei casi il dosaggio utilizzato è stato di 500 mg due volte al giorno e le allucinazioni riportate sono state anche di tipo visivo. Da questi casi emerge un’ampia variabilità nel tempo d’insorgenza della reazione dall’inizio della terapia (tra uno e 14 giorni) con risoluzione spontanea dell’evento alla sospensione del farmaco nella maggior parte dei casi. In un caso il segnalatore ha riportato anche la comparsa di ideazione suicidaria e, recentemente, l’Uppsala Monitoring Centre, che gestisce i dati di segnalazione spontanea provenienti da oltre 80 paesi nel mondo, ha identificato come segnale “claritromicina e suicidio”.
Nel 2007 la claritromicina è stato il secondo antibiotico più prescritto in Italia dopo l’amoxicillina da sola o in associazione4 e il suo impiego è da considerarsi relativamente sicuro ed efficace. In letteratura le manifestazioni psicotiche associate all’uso di claritromicina sono limitate a singoli case report. E’ tuttavia auspicabile che il medico sia a conoscenza di questa possibile reazione avversa in modo tale da consentire una corretta diagnosi differenziale e la rapida risoluzione dei sintomi ottenibile con la semplice sospensione della terapia farmacologica in atto.
- J Clin Psycopharmacol 2002;22:71-81.
- J Antimicrobial Chemother 2007;59:331. CDI #rrr#
- Ir J Psych Med 2008;25:73. CDI #rrr#
- http://www.agenziafarmaco.it/allegati/rapporto_osmed_2007.pdf
di Lodovica Mazzucato, medico di medicina generale, ULSS 16, Padova
di Umberto Gallo, Dipartimento interaziendale assistenza farmaceutica, ULSS 16, Padova e Lara Magro, Unità operativa di farmacologia medica, Policlinico GB Rossi, Verona