Infermieri e farmacovigilanza
Antonio, 55 anni, si presenta in Pronto soccorso per cefalea, vertigini e acufeni. Riferisce di avere dalla mattinata un mal di testa molto forte, che non aveva mai avuto. E’ iperteso da circa dieci anni ma non gli era mai capitato di avere valori di pressione così elevati: 210/110 mmHg. E’ in trattamento con un ACE inibitore e un diuretico (perindopril e idroclorotiazide). Ha una gastrite, trattata con un inibitore di pompa (lansoprazolo) e assume da qualche giorno un FANS (etoricoxib) per una periartrite di spalla. Elena, 74 anni, è da cinque anni in trattamento con simvastatina per il colesterolo alto. E’ in discreta salute, con qualche acciacco legato all’età. Assume anche acido acetilsalicilico per la prevenzione cardiovascolare e bifosfonati per un’osteoporosi. Ha una forma di artrosi che le sta lentamente deformando i piedi e qualche volta le provoca dolore tanto da renderle difficile camminare. Da qualche mese ha dolori muscolari agli arti inferiori. E’ una donna forte, non ha mai parlato a nessuno di questo problema, attribuendolo all’età e alla sua artrosi. Anita, 82 anni, ha ormai una demenza avanzata: è allettata da un anno e ha bisogno di essere sorvegliata, lavata, alimentata; non è più in grado di interagire. All’ingresso nella residenza sanitaria assistenziale (RSA) l’infermiera si fa consegnare dai parenti i medicinali che la donna sta assumendo: tra i numerosi farmaci in terapia ci sono i bifosfonati e la fluoxetina. I figli confermano che la terapia della mamma non è stata rivista né modificata da almeno tre anni.
I casi descritti sono piuttosto frequenti e, purtroppo, spesso non vengono riconosciuti perché manca il tempo, l’abitudine e l’attenzione a raccogliere una buona anamnesi farmacologica. In tutti e tre, infatti, non è stata riconosciuta una situazione legata a effetti avversi dei farmaci in terapia. Nel caso di Antonio, il problema è dovuto all’interazione dell’etoricoxib con l’ACE inibitore, che può portare a una riduzione dell’effetto antipertensivo: se l’interazione non viene riconosciuta subito si rischia di modificare o potenziare inutilmente la terapia antipertensiva o di sottoporre il paziente a esami diagnostici inutili. Dato che molti pazienti assumono terapia antipertensiva e usano FANS, informare il paziente e riconoscere le interazioni più comuni dovrebbe far parte delle competenze di base di un infermiere.Il dolore agli arti inferiori di Elena è stato invece provocato (ed è regredito alla sospensione del farmaco) dalla statina. Anche in questo caso il mancato riconoscimento della reazione avversa farebbe impostare una terapia antidolorifica con il possibile rischio di altri effetti collaterali. Soprattutto in una paziente in politerapia si deve sempre sospettare una possibile reazione avversa.
Anita, infine, è in una situazione molto frequente per un paziente anziano: spesso le terapie si accumulano e non vengono razionalizzate, per cui un trattamento una volta iniziato rimane in vigore per "inerzia" e la politerapia espone il paziente a un aumento del rischio di reazioni avverse.
Migliorare la conoscenza dei profili di sicurezza dei trattamenti (farmacologici e presidi) richiede il coinvolgimento sempre più integrato di tutte le figure che ruotano attorno al paziente: gli infermieri hanno numericamente e funzionalmente un ruolo di rilievo nella gestione del farmaco [1]. Ci sono però due ordini di problemi. Il primo è legato al fatto che la farmacovigilanza è riconosciuta come ambito quasi esclusivo di competenza medica: gli infermieri raccolgono i dati ma raramente partecipano alla loro valutazione e interpretazione, e ciò oltre che richiamare l’attenzione sui problemi ha anche importanti valenze formative. Il secondo dipende da un insegnamento della farmacologia generalmente tradizionale, centrato sui singoli farmaci piuttosto che sulle terapie e la loro gestione.
In Italia è stato formalmente riconosciuto il ruolo degli infermieri nelle attività di farmacovigilanza (Dlgs 95/03) e sono ampiamente riportati in letteratura esempi sulla fattibilità e utilità di coinvolgere gli infermieri [2-4].
Una recente esperienza italiana [5], che ha coinvolto circa 450 infermieri di 96 residenze sanitarie assistenziali e distretti del Nord Italia, documenta che anche in contesti dove è infrequente la segnalazione da parte dei medici gli infermieri fanno farmacovigilanza. A partire dai problemi che attivavano l’attenzione è stato chiesto agli infermieri di identificarne le possibili cause e il livello di evitabilità. In sei giornate di osservazione sono stati segnalati nell’ambito dello studio circa 500 eventi associati a farmaci e presidi, di cui alcuni classificabili come reazioni avverse da farmaco.
La farmacovigilanza non dovrebbe focalizzarsi solamente sulla rilevazione di possibili reazioni avverse, di cui comunque gli infermieri si devono occupare insieme ai medici e agli altri operatori sanitari, ma anche sulla individuazione delle strategie terapeutiche. La farmacosorveglianza consiste sempre di più nella capacità di valutare in modo collaborativo con i pazienti l’accettabilità e la comprensione delle terapie come parte dei percorsi assistenziali nei quali interferiscono numerosi fattori.[6] La sfida di una farmacovigilanza infermieristica sta proprio nel passaggio da un ruolo di vigilanza sulle terapie a quello di osservazione sui problemi dei pazienti per cercare di individuarli e attivare una riflessione sulle loro possibili cause, tra le quali giocano un ruolo di primo piano i farmaci.
- Assist Inferm Ric 2002;21:172-7. CDI #rrr#
- Lancet 2003;361:1347-8. CDI #rrr#
- Nurs Times 2003;99:24-5.
- Pharmacoepidemiol Drug Safety 2002;11:647-50.
- Informazioni sui farmaci 2007;31:137-42. CDI #rrr#
- Assist Inferm Ric 2002;21:198-210. CDI #rrr#
Università degli studi di Torino