Farmacovigilanza e insuccesso di comunicazione
Nel numero di Focus di marzo 2013 Antonio Addis ha discusso l’inadeguatezza dell’informazione e della comunicazione in farmacovigilanza e ha posto una sfida: “Provate a trovare qualcuno che sostenga l’inutilità dell’informazione in farmacovigilanza”. Nel numero di Focus di luglio 2013 Richard Smith ha parlato della percezione della gente rispetto alla sicurezza dei farmaci: “La mia conclusione è che la Gran Bretagna – come la maggior parte dei paesi – è inondata di farmaci e che sebbene i cittadini britannici siano ben consapevoli che alcuni di essi possano essere pericolosi, hanno generalmente le idee confuse sul rapporto benefici/rischi. Ciò significa che molte persone possono esporsi ai rischi legati ai farmaci anche quando possono in realtà attendersi da questi pochi benefici o addirittura nessuno”. Questi due noti personaggi ci stanno dicendo che, se non abbiamo fallito, di sicuro non stiamo facendo bene nella nostra comunicazione! E io sono d’accordo con loro, ma le questioni sono: “Perché?” e “Che cosa possiamo fare di meglio?”. Noi siamo sommersi dalle informazioni ma paradossalmente spesso non ne abbiamo abbastanza. Ogni volta che leggiamo qualcosa, in particolare forse sul web, nascono spesso nuove domande perché molte informazioni sono messe come riassunto che tutti possano capire. Quando non possiamo approfondire ulteriormente il problema ci restiamo male.
La farmacovigilanza pone delle sfide di base nella gestione della comunicazione. Per la maggior parte dei farmaci gli effetti avversi sono relativamente rari. La maggioranza degli utilizzatori dei farmaci più impiegati li prende e sta meglio, senza avere problemi (spesso la malattia sottostante è in ogni caso autolimitante!). Questo rinforza l’idea da parte del pubblico che le medicine siano sicure, ciò finché non si leggono le enciclopediche informazioni sul foglietto illustrativo, con l’elenco di tutti i possibili effetti avversi. Il risultato di questa situazione può essere soltanto una visione dicotomica e confusa riguardo ai farmaci, anche nel caso che le persone leggano e capiscano le informazioni sul prodotto!
La situazione è peggiorata dal tipo di informazioni post marketing sul rischio legato ai farmaci. Dalle prime segnalazioni fino alla disponibilità di analisi farmacoepidemiologiche con dati più completi permangono grandi incertezze anche per gli effetti avversi gravi. Questa difficoltà nasce dalla rarità degli eventi avversi causati dai farmaci rispetto alle prevalenze basali delle medesime condizioni causate da altre malattie. L’incertezza e il corrispondente concetto di probabilità sono concetti molto difficili da comunicare. Per complicare ulteriormente la questione la probabilità è usata dagli epidemiologi in maniera intercambiabile con il rischio, ma per molti il rischio include anche il livello di gravità di un evento avverso. Ci sono notevoli differenze nel significato delle gradazioni di probabilità, per esempio “raro” o “frequente” in termini matematici: in un gruppo di studio “raro” può andare da 1:100 a 1:10.000! Inoltre ciascuno di noi reagisce in maniera diversa al rischio, in quanto le nostre percezioni sono basate sulla nostra natura e sulle esperienze accumulate: questo riguarda sia i professionisti sanitari sia i loro pazienti.
Come sottolinea Antonio Addis la nostra informazione sulla farmacovigilanza sta migliorando col tempo. Cionondimeno c’è ancora un importante divario tra le risorse e gli sforzi impiegati per valutare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci usati quotidianamente nella pratica clinica e quelli per essere sicuri che le persone che hanno bisogno delle informazioni al riguardo le ricevano, le capiscano e le usino. La vera comunicazione (all’opposto dell’informazione) richiede un dialogo tra la persona o l’organizzazione che emette un dato messaggio e il destinatario. In una conversazione tra due persone questo è spesso, ma non sempre, un processo naturale. E’ nostra esperienza comune capire rapidamente se qualcuno ha ascoltato quello che abbiamo detto e spesso ci rendiamo conto se ha capito e si è comportato come gli abbiamo detto in modo appropriato.
Per valutare il successo di un dialogo tra un’organizzazione e la popolazione, chi emette il messaggio deve essere parte attiva dopo l’emissione per capire con un sondaggio se il messaggio è stato ascoltato. Sempre attraverso sondaggi l’organizzazione deve capire se il messaggio è stato compreso (e se no perché non lo è stato) e se è cambiato il comportamento nella popolazione in studio monitorando gli esiti rilevanti di successo della comunicazione. Richard Smith ci dice che globalmente non l’abbiamo fatto bene, ma la reale difficoltà è che sono relativamente pochi i farmaci per i quali c’è stata una valutazione completa basata sugli esiti del successo o meno della comunicazione. Questo è stato fatto con alcuni farmaci, ma andrebbe fatto con tutti.
D’altra parte, chi sono gli utilizzatori finali? In passato la maggior parte delle informazioni sui medicinali è stata diretta ai professionisti sanitari come “intermediari preparati”, partendo dal presupposto che essi abbiano conoscenza e si spera capacità critica per interpretare una scienza complessa rispetto alla situazione del singolo paziente. Questa situazione si è modificata radicalmente e rapidamente negli ultimi vent’anni. Sempre più persone cercano informazioni in Internet, dove trovano un misto confondente di informazioni di buona e di cattiva qualità. La mia esperienza di ricerche sul web ha rilevato grandi differenze nel livello di informazioni fornite, molte delle quali contraddittorie.
A questo punto quindi abbiamo due “utilizzatori finali”: gli operatori sanitari hanno bisogno di informazioni tecniche per l’uso nella loro pratica clinica, il pubblico a sua volta è molto vario anche nei suo bisogni. Internet fornisce informazioni molto complesse così come sintesi di linee guida di base per l’uso dei farmaci. Gli operatori sanitari dovrebbero capire quasi tutte le informazioni che possono trovare, ma il pubblico quali comprende? Quello che è certo è che il dialogo personale tra operatori sanitari e pazienti è diventato probabilmente più ricco, ma certamente più complesso. Devo anche dire che più il dialogo è complesso e di solito più tempo richiede, ed è perciò più “costoso” in una situazione professionale.
Devo a questo punto menzionare tre voci che a mio parere hanno spesso un effetto negativo sulla buona comunicazione nella farmacovigilanza: gli avvocati, i regolatori e l’industria farmaceutica. Anzitutto io vorrei difenderli. Tutti e tre questi gruppi sostengono di avere in mente il bene pubblico nel loro lavoro e io sono sicuro che essi hanno la coscienza pulita quando fanno questa affermazione. Il problema è che la loro visione per mantenere il bene pubblico è che alcune informazioni possono essere mal interpretate dal pubblico e perciò è meglio tenerle nascoste. Con un atteggiamento paternalista la trasparenza è spesso espressa come “Dobbiamo evitare di creare spavento sui farmaci” oppure “Il pubblico non capirebbe” o ancora “ Non dobbiamo danneggiare il programma di vaccinazione”. Questi esempi reali di visioni precostituite sono contrari alla vera trasparenza: “quando c’è un dubbio, non fare” è il pensiero che c’è dietro a questo modo di ragionare. Il risultato è che i danni da farmaco devono essere “provati al di là di ogni ragionevole dubbio”, per usare un’espressione legale, prima di essere raccontati al pubblico. Questo è stato un vero ostacolo per la farmacovigilanza perché noi non possiamo dimostrare facilmente fatti in maniera definitiva quando gli effetti avversi sono rari e i dati in evoluzione. Occorre che ci siano grandi numeri di pazienti esposti a un farmaco prima di avere una “prova” epidemiologica. Prima di quella “prova” è chiaro che molti pensino che il silenzio è la soluzione migliore. Ho detto in precedenza che la comunicazione del dubbio è una sfida, ma se noi rimaniamo in silenzio o in altro modo cerchiamo di seppellire i sospetti di rischio in piccole riviste di settore noi avremo ancora situazioni simili a quelle del caso Vioxx, dove c’era il sospetto di un eccesso di rischio cardiovascolare nell’uso del farmaco anni prima che la sua entità fosse stabilita e resa pubblica.1
Gli avvocati spesso hanno la necessità di fornire differenti consigli: dire ogni cosa, in via di principio, ma non dettagli in più oltre a quelli necessari per soddisfare la legge. Questo può avere l’effetto di citare molti eventi clinici che non sarebbero realmente sospetti di rischio. Questi eventi si trovano nelle informazioni sul farmaco in una sezione “altri report”, ma senza ulteriori informazioni.
Suggerimenti sulle vie da percorrere
Abbiamo bisogno di un cambio di paradigma nel quale la comunicazione e il dialogo siano un focus principale del nostro lavoro: informare ripetutamente la gente sul rapporto rischio/efficacia dei farmaci è altrettanto importante di studiare i farmaci. Dobbiamo batterci per avere a disposizione budget sufficienti per la comunicazione.
Siamo all’inizio di strategie di comunicazione migliori. Dobbiamo valutarle e considerare i loro risultati nel miglioramento delle cure e in particolare nella prevenzione degli eventi avversi. Nessuno studio sui benefici e i rischi di un farmaco dovrebbe essere considerato completo senza un’analisi dei temi di comunicazione. La comunicazione sul farmaco dovrebbe essere un argomento tanto importante quanto la farmacoepidemiologia.
Verifiche (audit) e contenzioso legale dovrebbero essere perseguiti per valutare di più la qualità e il contenuto della comunicazione sul pericolo causato e sugli effetti derivati da questa comunicazione.
La verifica sui dati immessi e le controversie legali su denunce di mancati avvertimenti di rischio sembrano essere meno importanti rispetto al misurare l’efficacia globale della farmacovigilanza.
Ci sono destinatari multipli per la farmacocomunicazione e noi dobbiamo usare media, linguaggi e metodologie appropriate per ogni circostanza. Non sarebbe pratico considerare tutte le audience, ma almeno una è critica: gli operatori sanitari hanno bisogno di avere tutte le informazioni che sono utili per la diagnosi e la prevenzione dei danni da farmaci. Per la diagnosi questi bisogni includono i sospetti così come le informazioni quantitative sui rischi già noti. E’ pure essenziale l’informazione clinica qualitativa rispetto alla diagnosi di sospetto e ai casi confermati, così come l’informazione sulla gravità dei danni e il loro trattamento. Tali informazioni devono essere facilmente e rapidamente accessibili per esempio durante la visita del paziente. Le informazioni fornite devono essere aggiornate, riportando ogni cambiamento quando avviene, e disponibili su Internet con vari livelli di complessità usando per esempio box successivi. Per assicurare la validità dell’informazione questa dovrebbe venire da un ente regolatorio approvato e da fonti industriali. C’è un numero crescente di risorse in Internet, per esempio le app, da sviluppare in questo modo, ma deve essere ancora sviluppata una fonte di informazione ottimizzata. Io sospetto che gli ostacoli a ciò siano i costi e la politica.
Il pubblico ha bisogno di alcuni messaggi molto importanti sull’uso sicuro e ottimale delle medicine e dei messaggi di allerta sui rischi più comuni e gravi per ogni farmaco, ma soprattutto su che cosa si deve fare riguardo a essi. I pazienti possono ricevere informazioni migliori sulle proprie medicine dagli operatori sanitari, informazioni personalizzate per ogni singola situazione.
La mia speranza è che i pazienti possano avere un dialogo completo e soddisfacente con i loro operatori sanitari riguardo all’efficacia, ai benefici attesi e ai rischi del loro trattamento. Questo dovrebbe comprendere una revisione periodica degli esiti di trattamento rispondendo alle domande dei pazienti e generalmente monitorando il progresso del paziente. Naturalmente questo viene già fatto, ma dubito che le pressioni e i tempi limitati per la visita consentano di farlo bene. Poiché l’assistenza sanitaria costa, le pressioni economiche sono contrarie a concedere più tempo per una buona comunicazione con il paziente. Un aiuto può venire da approcci creativi di comunicazione, come incontri di gruppi di pazienti con operatori sanitari per diversi tipi di trattamento e gruppi di auto-aiuto tra pazienti. L’educazione generale riguardo ai potenziali rischi e benefici delle medicine dovrebbe inoltre essere offerta da operatori sanitari come un complemento all’insegnamento fornito dalle scuole.
Infine, dobbiamo capire che il nostro lavoro in farmacovigilanza fallirà se la nostra comunicazione non sarà eccellente, ripetuta e se non saranno monitorati i risultati.
- Drug Safety 2005;28:651-8. CDI
senior advisor Uppsala Monitoring Centre