Quanta paura, Roberta, per una compressa di antibiotico
Roberta, 64 anni, con regolari abitudini di vita, ha goduto di buona salute fino all’epoca della menopausa. Ha successivamente iniziato un trattamento ipocolesterolemizzante con una statina per l’inefficacia dei provvedimenti dietetici e una terapia an- tipertensiva prima con un ACE inibitore, poi con un sartano per l’accentuarsi di una tosse legata a una sindrome bronchitica cronica. Nell’inverno del 2013 Roberta ha avuto episodi infettivi ricorrenti delle vie aeree trattati dapprima con amoxicillina più acido clavulanico e successivamente con doxiciclina. A seguito di un’ennesima e più impegnativa flogosi delle vie aeree la paziente viene sottoposta a una TAC del torace che evidenzia delle bronchiectasie serpiginose al lobo inferiore del polmone di sinistra. Viene, quindi, trattata con l’antibiotico- terapia già effettuata in passato seguita, in quest’ultima occasione, dalla somministrazione di azitromicina. A poche ore dalla prima somministrazione del farmaco, Roberta avverte un improvviso, fugace, cardiopalmo. Dopo la seconda somministra- zione di antibiotico (mezza compressa secondo lo schema posologico dei cinque giorni), in piena notte, Roberta accusa nuo- vamente un più intenso e ingravescente cardiopalmo, accompagnato da tachipnea e da sensazione di morte imminente. Vi- sitata dal marito (medico) questi riscontra elevati livelli pressori (195/110 mmHg), per i quali somministra una fiala di furosemide, e una tachiaritmia compatibile con una fibrillazione atriale o con una frequente e irregolare extrasistolia (30 bat- titi extrasistolici su una frequenza di 96 bpm). La sintomatologia e l’obiettività clinica gradualmente si attenuano col passare delle ore, tanto che al Pronto soccorso una valutazione elettrocardiografica rileva un ritmo sinusale, senza alterazioni del ritmo, una frequenza cardiaca di 83 bpm e un intervallo QTc allungato (438 msec). Dopo breve monitoraggio la donna viene di- messa e l’antibiotico sospeso.
La sensazione di cardiopalmo si ripresenta, tuttavia, anche se in modo sporadico, nei giorni successivi e per lungo periodo così da indurre il curante a sottoporre Roberta a un Holter. L’indagine, effettuata a distanza di tre mesi dall’episodio acuto, mostra un “ritmo sinusale, con fisiologiche variazioni della frequenza cardiaca; occasionali battiti ectopici sopraventricolari e nume- rosi ventricolari (n. 2.087). Considerata la situazione clinica nel suo complesso, non vengono prescritti farmaci antiaritmici. Con- fidando l’episodio a una nipote, Roberta si è sentita dire: “Sai zia, anni fa, durante la gravidanza, ho preso anch’io l’antibiotico azitromicina dei tre giorni e non sono mai stata così male, credevo di morire!”.
Il possibile rischio aritmogeno
E’ noto da tempo che alcuni macrolidi, quali eritromicina e claritromicina, sono in grado di causare effetti proaritmici, che vanno da un allungamento asintomatico dell’intervallo QT fino alla comparsa di fenomeni, talora fatali, come le tachicardie polimorfe e le più temute “torsioni di punta”. L’eziopatogenesi di tali fenomeni riconosce fondamentalmente due cause: una di tipo farmacodinamico e una di tipo farmacocinetico. Nel primo caso, i macrolidi sarebbero in grado di inibire direttamente la corrente lenta lKr, originata dal canale del K+ hERG, indispensabile per la corretta ripolarizzazione delle cellule miocardiche.1 La seconda causa è da ascriversi all’inibizione del citocromo CYP3A4, responsabile del metabolismo dei macrolidi, indotta da alcuni farmaci (per esempio alcuni antidepressivi e calcioantagonisti). Pertanto, la contemporanea somministrazione di queste molecole sarebbe responsabile di un’interazione di tipo metabolico che porterebbe a un significativo aumento della biodisponibilità del macrolide, con una conseguente possibile insorgenza di fenomeni aritmici in soggetti predisposti.2
L’azitromicina è stata ritenuta più sicura degli altri macrolidi principalmente perché non ha e non subisce interferenze legate al CYP3A4.3 In realtà i dati sulla sicurezza cardiovascolare dell’azitromicina sono contrastanti e sono stati oggetto di numerose pubblicazioni nell’ultimo periodo, commentate in una revisione appena pubblicata.4 Il potenziale rischio aritmogeno dell’azitromicina è noto da qualche anno, tanto che il farmaco è inserito nella lista del farmaci che provocano l’allungamento del QT pubblicata dal gruppo Arizona AZCERT (www.arizonacert.org). In letteratura sono presenti alcuni case report,5 ma anche studi epidemiologici. Il New England Journal of Medicine ha pubblicato nel 2012 un grande studio osservazionale di coorte che ha trovato un incremento di rischio di morte cardiovascolare per l’azitromicina, presente soprattutto in pazienti ad alto rischio cardiovascolare.6 La stessa rivista ha però pubblicato quest’anno un altro studio di coorte che non ha confermato questo dato nella popolazione giovane adulta non affetta da patologie cardiovascolari di base.7 Recentemente sono stati, inoltre, pubblicati altri due studi basati sull’analisi dei dati della segnalazione spontanea negli Stati Uniti. Entrambi i lavori, pur non potendo arrivare a una precisa stima del rischio, hanno concluso che l’azitromicina sembra avere un rischio cardiovascolare simile a quello degli altri macrolidi.8,9
Nel caso in esame, la storia familiare di Roberta evidenzia una possibile familiarità dal momento che la nipote ha manifestato disturbi simili dopo l’utilizzo di azitromicina, probabilmente correlata a una alterazione genetica (“canalopatia”), che può manifestarsi semplicemente come un allungamento asintomatico del tratto QT o essere causa di tachiaritmie gravi.
Nella prescrizione di macrolidi, compresa l’azitromicina, il medico dovrebbe sempre indagare nel paziente la familiarità per aritmie o di importanti fattori di rischio cardiovascolari, considerando eventualmente l’impiego di altre valide alternative terapeutiche esistenti in commercio.
Il progetto europeo ARITMO (www.aritmoproject.org) tuttora in corso, finanziato proprio per valutare il rischio comparativo di aritmie ventricolari associato all’uso di alcune classi di farmaci, tra cui anche i macrolidi, potrà fornire ulteriori risultati in merito.
- Mol Cell Biochem 2003;254:1-7. CDI NS
- Clin Pharmacol Ther 2002;72:524-35. CDI NS
- Clin Infect Dis 2006;43:1603-11. CDI
- Ann Pharmacother 2013;47:1547-51. CDI
- Drug Saf 2010;33:303-14. CDI
- N Engl J Med 2012;366:1881-90. CDI
- N Engl J Med 2013;368:1704-12. CDI
- Cleveland Clinic J Med 2013;80:539-44. CDI 9. J Pharmacovig 2013;1:104-8.
Francesco Pietrogrande1, Umberto Gallo2, Michela Galdarossa2, Anna Maria Grion2, Lara Magro3 e Ugo Moretti3
1 medico internista, Padova
2 SCI Assistenza Farmaceutica Territoriale, ULSS 16 Padova
3 USO Farmacologia, AOUI, Veron