Il danno epatico di Clara
Clara è una casalinga di 70 anni, amante del giardinaggio e della buona cucina. Assume regolarmente amlodipina, ramipril, acido acetilsalicilico, simvastatina a causa di un’ipertensione arteriosa e dislipidemia insieme a spondiloartrosi e discopatie del rachide lombosacrale. La donna ha una tiroidite autoimmune eutiroidea ed è stata sottoposta a una colecistectomia a seguito di una “colecistite calcolosa”.
Nell’ottobre 2011 Clara si presenta nell’ambulatorio del medico di famiglia lamentando una sciatalgia sinistra. Il medico le consiglia un breve ciclo di corticosteroide associato a tiocolchicoside (terapia già sperimentata in passato con beneficio). Clara di propria iniziativa e a insaputa del medico aggiunge anche il paracetamolo. La terapia antalgica sembra avere successo: il quadro algico è sensibilmente ridotto, ma Clara riferisce un’astenia ingravescente. L’unico dato obiettivo di rilievo è un’epatomegalia lievemente dolente alla palpazione.
In accordo con la paziente il medico richiede alcuni esami ematochimici, grazie ai quali viene evidenziata un’alterazione degli indici di citolisi (AST, ALT e gammaGT: 3 volte i valori normali) oltre alla conferma della nota tiroidite, pur essendo la funzione tiroidea sempre nella norma. Dai dati a disposizione non emergono alterazioni pregresse delle transaminasi, della gammaGT e delle CPK. Per una maggiore definizione diagnostica il medico richiede ulteriori accertamenti: marcatori dell’epatite, ecografia del fegato e autoanticorpi, dato che la donna ha una tiroidite autoimmune. Tutti gli esami risultano nella norma, tranne gli indici di epatocitolisi, sempre alterati seppure lievemente ridotti. L’ecografia del fegato rileva solo una lieve steatosi. Durante uno dei colloqui avuti in occasione delle visite di controllo, Clara riferisce al medico, anche se con un po’ di reticenza, l’assunzione di “qualche compressa” di paracetamolo. Alla fine, dopo un po’ di domande mirate, il medico accerta l’assunzione di 3 compresse da 1 grammo di paracetamolo al giorno per circa una settimana. Il medico esclude altri fattori di danno esotossico, per esempio l’assunzione di alcolici, e nel sospetto di un danno epatico da paracetamolo concorda con la paziente una terapia a base di acetilcisteina (trattamento della tossicità da paracetamolo) e un monitoraggio della funzione epatica.
Il quadro clinico di Clara nei giorni successivi migliora progressivamente e i controlli ematici evidenziano una sensibile riduzione dei valori delle transaminasi fino alla loro completa normalizzazione dopo circa 40 giorni dalla sospensione dell’uso del paracetamolo.
Non solo sovradosaggio
Il paracetamolo, presente in varie specialità medicinali da solo o in associazione, è un farmaco analgesico e antipiretico ampiamente utilizzato. Esso è dotato di una spiccata attività inibitoria sulla COX3 cerebrale; al contrario la sua azione sulle COX1 e COX2 periferiche è ridotta e clinicamente non significativa. Recentemente, inoltre, un gruppo di ricercatori ha identificato nella proteina TRPA1 la molecola chiave per attivare la sua efficacia antidolorifica.1
Tra gli effetti indesiderati più importanti causati dal paracetamolo sono descritte le patologie epatobiliari quali compromissione della funzionalità epatica, epatite, insufficienza epatica dose-dipendente fino alla necrosi epatica potenzialmente fatale.2
Ilmeccanismo attraverso il quale il paracetamolo induce epatotossicità è molto complesso. Esso può coinvolgere la formazione del metabolita reattivo N-acetil-benzochinone imina (NAPQI) e di ossigeno reattivo, la deplezione delle riserve di glutatione (GSH), il danno mitocondriale negli epatociti, tutti fattori che portano alla necrosi cellulare.3
Ogni anno negli Stati Uniti si registrano 56.000 accessi in Pronto soccorso, 26.000 ospedalizzazioni e circa 450 casi di morte associati a un sovradosaggio di paracetamolo, che tra l’8 e il 26%dei casi è ritenuto accidentale.4 Casi di epatotossicità dovuti non solo a sovradosaggio intenzionale o accidentale, ma anche a dosi terapeutiche sono comunque riportati in letteratura.5 Tra l’altro l’osservazione che il paracetamolo sia epatotossico anche a dosi terapeutiche era stata sollevata anche da un nostro lettore, che qui ringraziamo, dopo aver letto un articolo, sempre inerente a questo farmaco, su Focus di gennaio di quest’anno.
In Italia fino a qualche anno fa la dose terapeutica massima raccomandata di paracetamolo era di 4 g/die. Nel gennaio 2010 l’Agenzia Italiana del Farmaco ha ritenuto necessario ridurre la posologia massima di paracetamolo (da solo o in associazione) negli adulti portandola a 3 g per uso orale e a 4 g per via rettale.6 A oggi negli Stati Uniti la dose massima consentita nell’adulto per via orale è ancora di 4 grammi.
Al 31 agosto 2012 la Rete nazionale di farmacovigilanza conteneva 108 casi in cui il paracetamolo era associato a patologie epatobiliari e in 51 casi era l’unico farmaco sospetto.
Come nel caso di Clara, spesso accade che i pazienti prendano autonomamente l’iniziativa di cominciare un trattamento farmacologico per risolvere un malessere dimenticando che prima di assumere qualsiasi farmaco è molto importante chiedere informazioni al propriomedico o al farmacista (farmaci senza ricetta). Essi indicheranno il corretto utilizzo del farmaco considerando anche le possibili interazioni (con altri farmaci, cibi, bevande o prodotti di origine naturale), i possibili effetti indesiderati e le eventuali patologie concomitanti del paziente.
- Nature 2011;2:551. CDI #fff#
- Scheda tecnica Sanipirina®
- Handb Exp Pharmacol 2010;196:369-405. CDI #fff#
- Pharmacoepidemiol Drug Saf 2006;15:398-405. CDI #fff#
- Clin Therapeut 2006;28:755-60. CDI #fff#
- http://www.agenziafarmaco.gov.it
Dante Angelo Frignati1, Ermelinda Viola2, Elena Arzenton2
1 Medico di medicina generale, Castiglione d’Adda-Bertonico (Lodi)
2 Servizio di Farmacologia, AOUI di Verona