Farmaco, cosa c'è nel tuo nome
I numerosi casi di brand che non contengono più i principi attivi con cui erano nati, o cambiano addirittura area terapeutica e indicazioni, rispondono a una logica che risulta incomprensibile dal punto di vista terapeutico, ma che è ferrea sul piano commerciale.
La marca di un prodotto, nell’attuale complessità dei mercati, contiene molto di più del semplice nome, o anche del marchio, inteso come insieme dei caratteri distintivi che può essere registrato. La marca, per gli strateghi del marketing, è una specifica relazione istituita in un dato mercato tra una determinata domanda, una determinata offerta e una determinata concorrenza. Tutte le “determinazioni” indicate dalla definizione possono variare nel tempo, e quindi il marchio racchiude una storia, rappresenta un valore contabilizzato in bilancio e possiede perciò una sua autonomia rispetto al prodotto stesso a cui si applica.
Il guaio è che i farmaci di nomi ne hanno due, quello chimico e quello commerciale, e ciò rivela la loro natura di arlecchini, servi di due padroni. Lo dimostrano anche le polemiche che stanno accompagnando le nuove norme sulla prescrizione per principio attivo, e ancora prima quelle sulla sostituibilità.
I farmaci sono oggetti tecnologici complessi che appartengono a due mondi, quello della medicina e quello del mercato, con linguaggi, regole e scopi diversi. In questo dualismo e ambiguità i rapporti di potere tra i diversi protagonisti che agiscono sulla scena – ricercatori, industriali, regolatori, esperti di marketing, medici, farmacisti, consumatori e molti altri ancora – si giocano anche attraverso la facoltà di attribuire i nomi (una potestà divina, secondo gli antichi), e di scegliere o imporre quali usare nelle diverse circostanze.
L’industria si comporta coerentemente con le proprie finalità. E’ curioso invece che molti medici non colgano come la prescrizione per principio attivo esalti il contenuto professionale e si arrampichino sui vetri per affermare il contrario. E che gli enti regolatori non sappiano imporre le norme che più tutelano malati e consumatori.
Roberto Satolli
Zadig