Rassicurante il profilo di sicurezza del ferro endovena
Un revisione sistematica condotta da ricercatori israeliani ridimensiona l’impatto delle reazioni avverse dopo somministrazione di ferro per via endovenosa. Sono stati presi in considerazione 103 studi pubblicati tra il 1965 e il 2013 che avevano coinvolto sia pazienti trattati con ferro (10.390 per via endovenosa, 4.044 per bocca, 155 per via intramuscolare) sia pazienti di controllo (1.329 con terapie diverse dal ferro e 3.335 con placebo). Gli autori segnalano una notevole eterogeneità nelle caratteristiche delle popolazioni studiate e nelle formulazioni di ferro utilizzate, dati questi che rendono più difficile trarre delle conclusioni certe.
L’analisi si è concentrata in primo luogo sulla determinazione degli eventi avversi gravi (per definizione un evento che ha esito nella morte o mette in pericolo la vita del soggetto, richiede un ricovero ospedaliero o prolunga una degenza in ospedale, o che determina incapacità o invalidità gravi o prolungate, o determina un’anomalia congenita o un difetto alla nascita) e secondariamente sulla mortalità per tutte le cause e gli eventi avversi nel loro insieme.
Anzitutto non c'è stato un aumento del rischio di eventi avversi gravi con il ferro endovena (rischio relativo 1,04, limiti di confidenza al 95% da 0,93 a 1,17).
Emerge invece con il ferro per via endovenosa un aumento del rischio di reazioni infusionali gravi (rischio relativo 2,47, limiti di confidenza al 95% da 1,43 a 4,28)
Non è aumentato il rischio di infezioni (rischio relativo 1,17, limiti di confidenza al 95% da 0,83 a 1,65), un effetto negativo temuto per la possibile supplementazione di ferro ad agenti patogeni.
Si è inoltre osservata una riduzione degli eventi avversi gastrointestinali (rischio relativo 0,55, limiti di confidenza al 95% da 0,51 a 0,61) anche perché questo è più tipicamente associato all’assunzione per bocca.
L’analisi per sottogruppi in base alle indicazioni all’impiego per patologia rileva una riduzione del rischio di eventi avversi gravi quando il ferro veniva utilizzato nei pazienti con scompenso cardiaco (rischio relativo 0,45, limiti di confidenza al 95% da 0,29 a 0,7) e un aumento quando impiegato nell’ambito dell’ostetricia-ginecologia (rischio relativo 2,00, limiti di confidenza al 95% da 1,15 a 3,62).
Dal punto di vista pratico, questi risultati suggeriscono che il ferro per via endovenosa, che resta comunque la modalità di somministrazione più efficace per ripristinare il patrimonio di questo oligoelemento nell’organismo, è nell’insieme sicuro (secondo gli autori più della trasfusione). La maggiore cautela riguarda la possibilità di importanti reazioni infusionali. E’ verosimile che le nuove formulazioni garantiscano un miglior profilo rischi-benefici, ma questo aspetto va ulteriormente valutato.
Tomer A, Amir B, et al. The safety of intravenous iron preparations: systematic review and meta-analysis. Mayo Clin Proc 2015;90:12-23.
e-mail ricercatore: tomerav@clalit.org.il