Paracetamolo in gravidanza: possibili conseguenze sul nascituro?
Il paracetamolo è considerato generalmente un farmaco sicuro in gravidanza. Tuttavia studi recenti sembrano suggerire che il suo impiego non sia del tutto privo di rischi per il nascituro. Il segnale è stato evidenziato da ricercatori delle Università di Bristol e di Cardiff che hanno analizzato gli esiti a lungo termine di una coorte arruolata alla nascita (7.796 gravidanze negli anni 1991-1992) e seguita oltre l’età scolare (anni 2015-2016) all’interno dell’Avon Longitudinal Study of Parents and Children. Alle gestanti è stato somministrato un questionario per verificare l’esposizione a paracetamolo alla 18a settimana di gestazione (n=4.415, 53%), alla 32a settimana di gestazione (n=3.381, 42%) e, come controllo, al 61° mese di vita del bambino da parte della madre (n=6.916, 89%) o del padre (n=3.454, 84%). Sono state richieste anche informazioni sulla presenza di infezioni, dolori articolari e cefalea, ma non sul dosaggio e sulla durata della terapia. Quando i bambini hanno raggiunto l’età di 7 anni, alle madri è stato chiesto di riferire eventuali problemi comportamentali sulla base dello Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ) composto di 5 sezioni (sintomi emotivi, problemi comportamentali, sintomi di deficit dell’attenzione/iperattività, problemi di relazione). L’esposizione prenatale nel 1° o nel 2° trimestre si associava a un aumento del rischio di disturbi comportamentali (rischio relativo 1,42, limiti di confidenza al 95% da 1,25 a 1,62) e di deficit nell’attenzione/iperattività (RR 1,31, limiti di confidenza al 95% da 1,16 a 1,49). In caso di esposizione nel 2° trimestre è stato riscontrato anche un aumento del rischio di sintomi emotivi (RR 1,29, limiti di confidenza al 95% da 1,09 a 1,53) e di difficoltà generali (RR 1,46 limiti di confidenza al 95% da 1,21 a 1,77). L’assunzione di paracetamolo in fase post natale da parte di uno dei due genitori non ha evidenziato alcuna associazione rilevante.
Anche se il paracetamolo è annoverato tra i farmaci utilizzabili in gravidanza, questi risultati suggeriscono un minimo di cautela e senza dubbio ulteriori verifiche. I risultati dello studio consentono di ipotizzare un effetto specifico del farmaco in fase prenatale,1 in linea con quanto già riscontrato in altri studi di coorte descritti di seguito.
In uno studio danese sono state arruolate due coorti (negli anni 1996-2002), una utilizzata per identificare la diagnosi di disturbi ipercinetici (HKD) e/o i farmaci utilizzati per il deficit nell’attenzione/iperattività (ADHD) e l’altra coorte, più piccola, utilizzata per identificare i comportamenti riconducibili a ADHD, nel quale le madri hanno risposto all’SDQ quando il bambino ha raggiunto l’età di 7 anni. I bambini le cui madri erano state esposte a paracetamolo (n=36.187 nella coorte 1 e n=22.687 nella coorte 2) presentavano un rischio aumentato di HKD (hazard ratio1,37, limiti di confidenza al 95% da 1,19 a 1,59), di utilizzo di farmaci per ADHD (HR 1,29, limiti di confidenza al 95% da 1,15 a 1,44) e di comportamenti riconducibili a ADHD (RR 1,13, limiti di confidenza al 95% da 1,01 a 1,27). La durata (>1 trimestre) e la frequenza di utilizzo di paracetamolo sarebbero correlate a un aumento del rischio.2
Uno studio condotto in Nuova Zelanda ha valutato l’associazione tra farmaci comunemente utilizzati in gravidanza e diagnosi di ADHD. I dati di consumo sono stati ottenuti attraverso interviste alle madri subito dopo la nascita del bambino. I sintomi di ADHD sono stati valutati attraverso il questionario SDQ e il Conners’ Behavioural Rating Scale (CRS), rispettivamente somministrati ai genitori quando il bambino avevatra i 7 e gli 11 anni, e al bambino all’età di 11 anni. Il paracetamolo è stato utilizzato dal 49,8% delle madri (antinfiammatori 1,3%, acido acetilsalicilico 5,3%, antiacidi 17,4% e antibiotici 23,5%). Non sono state osservate differenze statisticamente significative del punteggio SDQ associate a qualsiasi altro farmaco (antinfiammatori: -1,3, limiti di confidenza al 95% da -3,5 a 0,9; acido acetilsalicilico 0,5, limiti di confidenza al 95% da -1,5 a 2,4; antiacidi – 0,1, limiti di confidenza al 95% da -1,0 a 0,7; antibiotici 0,5, limiti di confidenza al 95% da -0,4 a 1,4) a 7 anni. I valori negativi vanno interpretati come un punteggio SDQ maggiore per i bambini non esposti ad antinfiammatori e antiacidi durante la vita fetale. I bambini di madri che avevano utilizzato il paracetamolo durante la gravidanza avevano un rischio maggiore di sintomi di ADHD, ma non statisticamente significativo a 7 anni (OR 2,1, limiti di confidenza al 95% da 0,0 a 5,0) e inferiore a 11 anni, sia quando il questionario è stato somministrato ai genitori (OR 1,2, limiti di confidenza al 95% da 0,6 a 2,5) sia quando a rispondere sono stati direttamente i bambini (OR 1,0, limiti di confidenza al 95% da 0,6 a 1,6).3
Sia nell’analisi univariata sia in quella multivariata delle differenze di punteggio SDQ tra i bambini esposti al paracetamolo durante la gravidanza rispetto ai non esposti non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa per nessuna delle 5 sub scale né a 7 né a 11 anni. Nell’analisi multivariata, invece, le differenze di punteggio relativamente alle 3 sub scale del questionario CRS sono risultate maggiori e statisticamente significative a 7 anni negli esposti a paracetamolo per quanto riguarda la labilità emotiva 3,0 (limiti di confidenza al 95% da 1,3 a 4,7) e i problemi generali di comportamento 2,6 (limiti di confidenza al 95% da 1,0 a 4,2).
In un altro studio, subanalisi dello studio norvegese Norwegian Mother and Child Cohort study, sono stati valutati gli effetti a lungo termine dello sviluppo neurologico a seguito dell’esposizione in utero a paracetamolo. In particolare, gli autori hanno osservato in modo prospettico un’associazione potenziale tra l’esposizione prenatale a paracetamolo e sviluppo psicomotorio (problemi nella comunicazione, sviluppo motorio) e alterazioni comportamentali nei bambini a 3 anni. I bambini sono stati classificati in esposti a breve termine (da 1 a 27 giorni) ed esposti a lungo termine (≥28 giorni). L’ibuprofene è stato utilizzato come farmaco di confronto. Le indicazioni principali riportate nei casi di esposizione a lungo termine sono state: cefalea o emicrania (63,4%); mal di schiena e dolore pelvico (19,5%); febbre (19,5%); e influenza o raffreddore (12,2%). L’esposizione prenatale a lungo termine al paracetamolo è stata associata a un aumentato rischio nel ritardo a camminare (differenza di rischio 0,26, limiti di confidenza al 95% da 0,06 a 0,45), nel ritardo dello sviluppo motorio (0,24, 9 limiti di confidenza al 95% da 0,12 a 0,51), in alterazioni della comunicazione (0,20, limiti di confidenza al 95% da 0,01 a 0,39), in alterazioni del comportamento (0,24, limiti di confidenza al 95% da 0,12 a 0,37), in problemi di comportamento (0,14, limiti di confidenza al 95% da 0,01 a 0,28). L’esposizione a breve termine è stata associata a uno scarso sviluppo motorio e a ritardo nel camminare, ma gli effetti sono stati inferiori rispetto all’uso a lungo termine. I rischi relativi sono stati i seguenti: 1,69 per problemi comportamentali, 1,67 per problemi psicomotori e 1,51 per disturbi del linguaggio. I punti di forza di questo studio sono: il disegno, la numerosità del campione osservato, gli aggiustamenti per l’indicazione d’uso (febbre, infezioni, dolori muscolari, mal di testa) e per altri potenziali fattori confondenti (per esempio farmaci concomitanti, depressione materna, uso di alcol). È interessante notare che l’ibuprofene non è stato associato a deficit nello sviluppo psicomotorio, suggerendo uno specifico effetto del paracetamolo. Tuttavia, l’ibuprofene, di solito, non è raccomandato durante la gravidanza ed è controindicato nel terzo trimestre, quindi è possibile un’esposizione media più breve rispetto al paracetamolo.4
Sebbene le ricerche descritte abbiano i limiti relativi alla natura osservazionale e retrospettiva degli studi, nell’insieme sembrano suggerire che effettivamente il paracetamolo possa avere effetti sullo sviluppo del bambino. Va notato che l’aumento del rischio non è stato riscontrato per farmaci della stessa classe, aspetto che, oltre a supportare la buona qualità del metodo usato, sembra suggerire un effetto farmaco-specifico. L’effetto sembra essere correlato alla durata dell’esposizione, pertanto se l’uso di paracetamolo non può essere evitato durante la gravidanza è opportuno limitare la terapia al minimo indispensabile. Ulteriori studi sono comunque necessari per confermare le evidenze attualmente disponibili.
- JAMA Pediatr 2016;170:964-970. CDI
- JAMA Pediatr 2014;168:313-20. CDI
- PLoS One 2014;9:e108210. CDI
- Int J Epidemiol 2013;42:1702-13. CDI
Unità di Monitoraggio delle Reazioni Avverse ai Farmaci, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Centro FV Toscana