Oppioidi: la vera preoccupazione è che non si usano nel dolore
All’inizio di quest’anno, in occasione della presentazione del rapporto OsMed/AIFA sul consumo dei medicinali nel nostro Paese, la ministra Lorenzin ha espresso “forte preoccupazione per l’aumento del consumo di oppiacei”. E’ giustificata la preoccupazione della Lorenzin? Ma non eravamo il Paese con uno dei più bassi consumi di morfina nel mondo? E’ cambiato qualcosa? Questa “forte preoccupazione” da dove nasce?
Il consumo in Italia
Come è noto gli oppioidi sono farmaci essenziali per il trattamento del dolore, cronico e acuto, moderato-severo sia di origine neoplastica sia da altre cause, quale per esempio il dolore post operatorio. La prevalenza del dolore oncologico varia tra il 52% e il 77% negli studi più vecchi a valori più bassi negli studi più recenti compresi tra il 24% e il 60% per i pazienti in terapia farmacologica e tra il 62% e l’86% per i pazienti con tumore in stadio avanzato. La prevalenza in Italia del dolore cronico non oncologico, una delle indicazioni per il ricorso agli analgesici oppioidi in base al tipo di dolore e di paziente, è stimata intorno al 26%.1 E’ in questo quadro che devono essere letti e interpretati i dati di consumo in Italia, tenendo anche presente l’allarme - probabile fonte della preoccupazione della Lorenzin - proveniente dagli Stati Uniti sulla possibilità di abuso degli oppioidi prescritti come farmaci antidolorifici.
Come si può notare dalla Tabella 1 a pagina seguente, il consumo di oppioidi non è particolarmente elevato in Italia attestandosi nel 2013 a 5,2 DDD/1.000 abitanti al giorno. L’oppioide di maggiore utilizzo è la codeina in associazione con il paracetamolo (tipico farmaco del secondo gradino della scala dell’OMS per il trattamento del dolore neoplastico) seguito dal tramadolo, mentre tra gli oppioidi forti il farmaco di maggiore consumo è il fentanil (in particolare nella formulazione cerotti transdermici).
Tabella 1. Consumo (DDD/1.000 abitanti al giorno) degli analgesici oppioidi in Italia dal 2002 al 2013. Dati estrapolati dai Rapporti OsMed 2013 e 2010
L’andamento temporale dei consumi degli oppioidi in Italia mostra un incremento (percentualmente elevato, ma non altrettanto in termini assoluti), in particolare nei primi anni dell’ultimo decennio. L’aumento è stato determinato dal cambiamento della legislazione sulla prescrizione (anno 2001) e, a partire dal 2005, dall’immissione in commercio di nuove formulazioni farmaceutiche e di principi attivi in commercio da tempo in altri Paesi ma non in Italia (per esempio ossicodone e idromorfone). La codeina in combinazione con il paracetamolo è il principio attivo che ha registrato il maggiore incremento di utilizzo seguito dal fentanil e dal tramadolo. La morfina viene poco utilizzata a livello territoriale e l’incremento dal 2010 al 2011 è da attribuire al consumo a livello delle strutture pubbliche, non conteggiato negli anni precedenti; questo vale anche per altri oppioidi, per esempio per la buprenorfina tipicamente utilizzata nell’ambito delle strutture pubbliche nella disintossicazione dei tossicodipendenti. Negli ultimi tre anni, in ogni caso, complessivamente si registra una situazione stabile con aumenti di consumo, peraltro contenuti, solo per l’associazione codeina più paracetamolo.
Il confronto con gli altri Paesi
Notoriamente in ambito internazionale l’Italia è sempre stato uno dei Paesi con il minore consumo di oppioidi. Per esempio nel 2005 la percentuale della spesa farmaceutica italiana per gli oppioidi rispetto alla spesa farmaceutica totale era 0,6%, superiore solo a quella di Grecia e Portogallo ma decisamente inferiore rispetto agli altri paesi europei, quali Germania (3,8%) e Regno Unito (3,9%).2 In particolare il consumo di morfina è sempre stato molto basso rispetto a quello di altri Paesi: per esempio nel 2006 in Italia è stato inferiore ai 5 mg pro capite, al di sotto sia della media europea (12,6 mg pro capite) sia di quella mondiale (6,0 mg pro capite), tanto da spingere alcuni epidemiologi italiani a parlare di “morfinofobia”.3 Questa situazione, pressoché costante anche negli anni successivi, fino al 2010, colloca l’Italia tra i Paesi del mondo con un basso (inadeguato) consumo di analgesici oppioidi, almeno 5 volte inferiore rispetto al consumo necessario a trattare il dolore cronico da tumore e HIV/AIDS o quello acuto da incidenti.4 Anche i dati europei IMS del 2013, pur in un quadro di aumento generale in Europa del consumo di oppioidi (+9% rispetto al 2009), vedono comunque l’Italia tra i Paesi con la minore attenzione per il problema dolore in generale e con il minore utilizzo di oppioidi in particolare. Nel 2013 l’Italia si posiziona ultima, tra i Paesi top 5 dell’UE, a livello di consumi di oppioidi in termini di unità standard (SU), con un consumo di 397 milioni di SU rispetto a 5,58 miliardi di SU nel Regno Unito, 2,4 miliardi di SU in Francia, 1,16 miliardi di SU in Germania e 761 milioni di SU in Spagna. Al contrario l’Italia è il Paese europeo con il maggiore ricorso ai FANS, come percentuale rispetto al totale degli analgesici impiegati.5 Un’analisi dei consumi di farmaci per il trattamento del dolore nella regione Veneto nel 2006 mostra come il ricorso agli oppioidi sia nettamente inferiore rispetto al consumo dei FANS non solo a livello territoriale (1,5 rispetto a 18,0 DDD/1000 abitanti al giorno), come atteso, ma anche a livello ospedaliero (13,0 rispetto a 51,6 DDD/100 giorni di degenza). D’altra parte la riluttanza alla prescrizione degli oppioidi da parte dei medici ospedalieri italiani viene confermata anche da una recente indagine6 che mostra come la prevalenza di pazienti anziani dimessi dall’ospedale con una prescrizione di oppioidi sia solo leggermente superiore a quella dei pazienti in ingresso, con un lieve incremento nell’ultimo dei tre periodi considerati: 5,8% rispetto a 3,8% nel 2008, 5,3% rispetto a 3,6% nel 2010 e 6,6% rispetto a 4,1% nel 2012. Gli autori dello studio fanno anche notare come la maggioranza delle prescrizioni riguardino codeina e tramadolo e che il 58% dei pazienti con dolore significativo vengono dimessi senza alcuna prescrizione di analgesici.
Un giusto equilibrio
I dati sopra analizzati non mostrano una tendenza in Italia a un uso terapeutico eccessivo di oppioidi con conseguenti rischi di abuso e dipendenza. Al contrario emerge che in Italia, nonostante i cambiamenti legislativi, non si risponde ancora in maniera adeguata ai reali bisogni dei malati con dolore. E permangono le vecchie barriere culturali che limitano l’accesso ai farmaci oppioidi. Il timore di abuso, dipendenza e addiction sono tra i motivi principali per cui alcuni Paesi, tra cui l’Italia, limitano l’accesso agli analgesici oppioidi. Stati Uniti e Canada hanno tra i più alti livelli di prescrizione di oppioidi al mondo accompagnati, però, anche da gravi eventi avversi, quali misuso, abuso e dipendenza. Da una recente ricerca statunitense è emerso che la prescrizione di oppioidi ha visto un aumento nel periodo 2002-2010 per poi assestarsi dal 2011 al 2013 e che la mortalità associata a questa classe di farmaci ha avuto un andamento quasi parallelo.7 Weisberg e coll. hanno recentemente messo a confronto due sistemi di prescrizione degli analgesici oppioidi: quello statunitense e quello inglese.8 Il confronto tra questi due paesi sottolinea importanti caratteristiche dei sistemi di prescrizione, di cultura e di salute che possono essere permissive o protettive per lo sviluppo di una crisi di salute pubblica. Negli ultimi anni si è registrata nel Regno Unito una tendenza simile a quella americana nell’aumento del consumo di oppioidi, sebbene a livelli inferiori, ma senza un incremento segnalato di uso improprio o di decessi. Secondo gli autori il sistema britannico ha messo in atto una serie di misure (quali linee guida, tavole rotonde, training, monitoraggio, ricerca) finalizzate a una prescrizione equilibrata degli oppioidi.
La situazione inglese è un chiaro esempio (viste anche le somiglianze del sistema sanitario nazionale, ben diverso da quello statunitense) di come possa essere gestita, anche a livello italiano, una buona e accurata prescrizione di analgesici oppioidi senza incorrere in fenomeni di abuso, dipendenza o addiction. E’ importante, infatti, raggiungere un giusto equilibrio, ricorrendo a prescrizioni appropriate senza limitare l’accesso a questi farmaci o facilitarne l’abuso, farmaci che ricordiamo sono indispensabili nella cura del dolore e nel fine vita. E’ fondamentale, quindi, creare una cultura condivisa tra i professionisti coinvolti nella gestione del malato oncologico e del dolore in generale. La speranza è che le diverse iniziative realizzate contribuiscano a innalzare la soglia di attenzione degli operatori verso l’uso dei farmaci oppioidi, in particolar modo verso la cura del dolore grave, un campo in cui il nostro Paese registra ancora un pesante ritardo. Questo aumento di prescrizioni deve, ovviamente, avvenire seguendo le raccomandazioni pubblicate in letteratura per prevenire l’epidemia di abuso prescrittivo evidenziato in altri paesi, in particolare negli Stati Uniti.9
- Libro bianco sul dolore cronico in Italia, Health Publishing & Services, 2014:45-66. CDI NS
- Quaderni di Farmacoeconomia 2007;2:7-13. CDI NS
- Ann Oncol 2009;20:961-70. CDI NS
- J Pain Palliat Care Pharmacother 2011;25:6-18. CDI
- Libro bianco sul dolore cronico in Italia, Health Publishing & Services, 2014:25-43. CDI NS
- Intern Emerg Med 2015;10:305-13. CDI
- N Engl J Med 2015;372:241-8. CDI
- Int J Drug Policy 2014;25:1124-30. CDI
- Pain Physician 2012;15:ES9-ES38. CDI