Maria e Ivo: due storie, lo stesso sospetto diagnostico
Per motivi di privacy i case report sono scritti in modo da non rendere identificabile il paziente.
I due casi sono stati segnalati alla Rete Nazionale di Farmacovigilanza.
Caso 1:
Maria, 77 anni, soffre di ipertensione arteriosa, ipotiroidismo e declino cognitivo. Solo pochi mesi fa è stata ricoverata per una caduta con conseguente trauma cranico, presumibilmente imputabile a un uso inappropriato di zolpidem. In seguito all’accaduto il farmaco è stato sospeso insieme a una graduale cessazione della sertralina e all’avvio del trattamento con promazina. Il ricovero sembrava solo un ricordo lontano finché una tiepida notte di settembre Maria viene accompagnata nuovamente in Pronto soccorso dai familiari. È visibilmente confusa, con febbre alta e brividi, lo sguardo assente e afasia. Eppure, fino a prima di coricarsi sembrava stare bene, come riferito dal nipote al medico del Pronto soccorso che, vista la situazione, decide di sottoporla ai primi accertamenti. I parametri vitali di Maria, a eccezione della temperatura corporea, appaiono nella norma, così come l’emogasanalisi. Anche gli esami del sangue e delle urine non rilevano anomalie significative, se non la positività all’esterasi leucocitaria e la presenza di nitriti in quest’ultimo caso. La radiografia del torace rileva invece un leggero addensamento in sede basale.
I medici del Pronto soccorso, allarmati dalle condizioni in cui riversa Maria, richiedono prontamente anche una TAC del cranio, che però risulta negativa.
Non osservando miglioramenti del quadro clinico, Maria viene sottoposta a ulteriori accertamenti tra i quali una valutazione neurologica, per il sospetto di un’infezione sistemica, che però non trova conferma. Di fronte al quadro incerto, viene richiesto anche un parere infettivologico che sconsiglia l’introduzione della terapia antibiotica in assenza di una chiara indicazione.
Con il passare delle ore aumenta l’apprensione dei familiari per Maria e il nipote, su indicazione del personale medico, cerca di far luce sulla terapia assunta dalla donna. Rientrato a casa, rovistando nel cassetto delle medicine di Maria, trova, accanto a diverse confezioni di sertralina, un foglio stropicciato che sembra indicare la terapia assunta dalla donna: lansoprazolo, levotiroxina, bisoprololo, ramipril, acido acetilsalicilico 100 mg, sertralina 25 mg 1 cp ore22 (a quanto pare mai sospesa), zolpidem 10 mg al bisogno in caso di insonnia.
Gli esami non rilevano segni di infiammazione e senza alcuna terapia specifica, Maria inizia a migliorare gradualmente finché il terzo giorno di ricovero, riprende coscienza, la capacità di comunicare e la mobilità.
La presenza di una scorta considerevole di sertralina a domicilio e la possibilità che la paziente si sia autosomministrata il farmaco, nonostante il suo stato di salute mentale, porta i medici a ritenere che con alta probabilità Maria stia affrontando una sindrome serotoninergica atipica. Di conseguenza, viene interrotta definitivamente la terapia con sertralina e avviato un trattamento con quetiapina a dosaggi crescenti prima della dimissione.
Caso 2:
Ivo, 78 anni, viene trasportato d’urgenza in Pronto soccorso in condizioni critiche: presenta rigidità diffusa agli arti, mutacismo, tachipnea, rilascio degli sfinteri, vomito e iperpiressia fino a 39°C. L’anamnesi patologica rivela che Ivo soffre di diabete mellito in dietoterapia, decadimento cognitivo e una sindrome depressiva reattiva recentemente peggiorata e per cui da qualche giorno, prima di coricarsi, assume oltre alla clorpromazina anche la sertralina.
In Pronto soccorso i primi accertamenti non sembrano rilevare anomalie significative: gli esami ematochimici appaiono nella norma, così come l’esame urine non è suggestivo della presenza di un’infezione del tratto urinario. La TAC cerebrale, eseguita per indagare un possibile coinvolgimento neurologico, mostra segni di lieve danno vascolare cronico, senza alcuna emergenza acuta. Anche l’elettroencefalogramma e la rachicentesi escludono la presenza di un’infezione del sistema nervoso centrale. Di fronte a questo quadro di difficile interpretazione si decide per il ricovero di Ivo per un monitoraggio più stringente e la gestione dei sintomi.
Dall’approfondimento dell’anamnesi farmacologica emerge però un dettaglio rilevante: si scopre che Ivo, su consiglio di un amico, oltre alla terapia abituale, assume anche l’Iperico (erba di San Giovanni) come integratore per la depressione. Questo porta all’ipotesi di una sindrome serotoninergica, una complicanza grave, ma rara causata dall’interazione tra l’integratore e la sertralina, recentemente aggiunta alla terapia. Dopo la difficile diagnosi a Ivo viene somministrato l’antidoto insieme alle cure di supporto per il controllo della sintomatologia.
Dopo la sospensione dei farmaci implicati e l’adozione delle misure di supporto, Ivo mostra un significativo miglioramento dei sintomi che prosegue fino al recupero completo delle funzioni motorie e cognitive residue.
Una condizione di difficile diagnosi
Con un aumento dell’uso di antidepressivi negli ultimi decenni, la sindrome serotoninergica è diventata una preoccupazione clinica sempre più diffusa e rilevante. I dati dell’ultimo Rapporto Osmed sull’uso dei farmaci in Italia testimoniano che l’uso di antidepressivi a lungo termine è in aumento sia negli adulti di mezza età sia negli anziani. Basti pensare che nel 2022 il consumo giornaliero degli antidepressivi è cresciuto del 2,6% rispetto all’anno precedente e i farmaci della classe gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) rappresentano il 70% dei consumi e il 50% della spesa dell’intera categoria. Tra gli antidepressivi la sertralina è la molecola a maggior consumo (9,8 DDD), in aumento del 5,4% rispetto al 2021.Tuttavia, la sindrome serotoninergica poiché ha un prodromo aspecifico e manifestazioni variegate, può facilmente essere trascurata, diagnosticata erroneamente o esacerbata se non valutata attentamente, per cui la sua vera incidenza è sconosciuta. Gli SSRI sono la classe di farmaci più comunemente implicata a causa dell’utilizzo diffuso.La sindrome è dovuta sostanzialmente a un aumento del segnale della serotonina a livello centrale conseguente all’iperstimolazione dei suoi recettori o per aumentata sintesi della serotonina o dei suoi precursori, per riduzione della ricaptazione/degradazione o ancora per stimolazione diretta dei suoi recettori.I segni e i sintomi che la caratterizzano dipendono dal grado di attività serotoninergica: solitamente si presenta la triade composta da alterazioni dello stato mentale (ansia, irrequietezza, disorientamento e delirium), manifestazione autonomiche (diaforesi, tachicardia, ipertermia, ipertensione, midriasi, vomito e diarrea) e iperattività neuromuscolare (tremori soprattutto alle estremità, mioclonie, iperreflessia, acatisia, segno di Babinsky bilaterale). La diagnosi è clinica e richiede una revisione approfondita dei farmaci e un attento esame obiettivo; i livelli sierici di serotonina non sono un indicatore affidabile di tossicità e non sono ben correlati con la presentazione clinica. Non esistono test di conferma o risultati di laboratorio specifici, ma i criteri di Hunter, basati su dati obiettivabili, possono aiutare la diagnosi.La terapia ovviamente dipende dal grado di tossicità, ma prevede la sospensione del farmaco serotoninergico e le cure di supporto (somministrazione di benzodiazepine a scopo sedativo, ossigenoterapia per mantenere saturazioni superiori al 94%, somministrazione di fluidi per via endovenosa, monitoraggio cardiaco continuo, trattamento dell’ipertermia con misure di raffreddamento standard). In caso di temperatura corporea molto elevata (superiore a 41°C) è richiesta la sedazione immediata e il trasferimento presso reparti intensivi per intubazione orotracheale e supporto respiratorio. L’antidoto è la ciproeptadina disponibile in forma orale.Nei soggetti anziani la politerapia facilita la possibilità di insorgenza di interazioni farmacologiche alle volte anche fatali; si sottolinea l’importanza dell’anamnesi farmacologica con particolare attenzione anche a integratori/prodotti di erboristeria che vengono spesso omessi, ma che in realtà possono rallentare la diagnosi e di conseguenza il trattamento.
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