L'improvviso ittero di Matteo
Matteo è un giovane di 37 anni, seguito fin dall’adolescenza dal Centro di salute mentale della sua città per episodi di aggressività nei confronti dei familiari, con una diagnosi di “disturbo del comportamento in ritardo mentale”. Il quadro psicopatologico è caratterizzato da una forte componente ansiosa, da difficoltà relazionali, da deficit cognitivo e da scarse capacità strumentali, tali da dover dipendere dalla madre nella gestione delle attività della vita quotidiana. Negli ultimi anni Matteo è stato seguito in maniera continuativa per un aumento degli episodi di aggressività, soprattutto nei confronti della madre, con colloqui ambulatoriali di supporto e terapia farmacologica con clorpromazina 25 mg/die, biperidene cloridrato 4 mg/die (nell’ultimo anno) e olanzapina 15 mg/die (assunta da una decina d’anni con dosaggio aumentato nell’ultimo anno).
Nel corso di un controllo degli esami del sangue viene riscontrato un aumento delle gammaGT, delle transaminasi e del colesterolo per cui Matteo viene inviato a una visita specialistica gastroenterologica, con ipotesi diagnostica di steatosi epatica e consiglio di completare le indagini di laboratorio e sottoporsi a un’ecografia. Dopo un anno e mezzo Matteo si presenta al Pronto soccorso per la comparsa di dolore addominale e ittero ingravescente insorti da più di una settimana. Gli esami del sangue subito eseguiti mostrano un modesto aumento delle ALT, 46 U/L (valori normali 6-40), e un notevole aumento della bilirubina totale, 24,42 mg/dl (valori normali 0,20-1,10), normali sono gli altri parametri valutati. Le varie indagini microbiologiche e immunologiche, volte a escludere la causa virale o autoimmune, risultano negative. L’ecografia e la colangio-RM non evidenziano calcolosi della colecisti e delle vie biliari, mostrando solo un leggero ispessimento delle pareti della colecisti che comunque non possono giustificare la sintomatologia del paziente. La presenza di ittero colestatico sembra quindi riconducibile ai farmaci: il principale sospettato è la clorpromazina, tuttavia tutta la terapia psicofarmacologica viene bruscamente sospesa sotto stretto controllo medico psichiatrico, in modo da prevenire eventuali turbe comportamentali. La terapia impostata durante la degenza prevede colestiramina e supplementazioni di vitamina K, vitamina D e potassio.
A conferma degli iniziali sospetti, l’analisi istologica del frustolo epatico da biopsia documenta un danno colestatico che, dopo discussione con gli anatomopatologi, viene definito come abbastanza tipico per “danno da farmaci tipo clorpromazina”. Sulla base dei pochi case report riportati in letteratura, viene iniziata una terapia con acido ursodesossicolico. Dopo 2 mesi circa di trattamento e quindi a 4 dall’insorgenza dell’ittero e dalla sospensione della clorpromazina, i valori di bilirubina sono rientrati nella norma, con dimissione del paziente dalla Psichiatria. Tale intervallo di tempo è legato al fatto che, per poter eseguire la biopsia epatica, è stato necessario richiedere la nomina di un amministratore di sostegno dal tribunale per la firma del consenso informato alla biopsia epatica, firma che non poteva essere fatta dal paziente per i disturbi sopra riportati che lo rendevano, di fatto, incapace di intendere e di volere. A domicilio viene consigliata una terapia con aloperidolo 2 mg/ml 40 gtt/die, acido ursodesossicolico 900 mg/die, colestiramina cloridrato 8 g/die, potassio cloruro 1.800 mg/die per bocca, lattulosio 15 ml/die, spironolattone 25 mg/die.
Nei mesi successivi si assiste a un rialzo delle transaminasi fino a 200-300 UI/l, con bilirubina totale sempre nella norma. Viene sospeso l’aloperidolo e vengono ricontrollati i marcatori virali e autoimmuni, che risultano nella norma. Le transaminasi, invece, si mantengono sempre elevate. Anche il colesterolo totale è sempre elevato, con valori costantemente sopra i 300 mg/dl. Il quadro ecografico orienta verso una steatoepatite.
La rottura dei dotti biliari intraepatici
I danni da clorpromazina a livello dell’albero biliare sono stati descritti negli anni novanta e sono stati riprodotti anche nell’animale da laboratorio con lo stesso quadro istologico, cioè “frequenti rotture della parete dei dotti biliari intraepatici con stravaso di bilirubina coniugata nel fegato e in circolo. Scarso l’infiltrato infiammatorio nelle zone di rottura”. Tale reperto fa pensare che le lesioni duttali non siano correlate a fenomeni immunologici innescati dal farmaco. Per tale motivo, nei pochi case report pubblicati in letteratura non viene consigliata una terapia con corticosteroi di. La guarigione, sempre riportata, avviene in tempi lunghi dai 3 ai 6-8 mesi e sembra essere correlata più alla sospensione della clorpromazina che al trattamento farmacologico con l’acido ursodesossicolico. Non si conosce la patogenesi del danno duttale da clorpromazina.
Nel caso di Matteo le lesioni istologiche erano del tutto simili a quelle riportate in letteratura, per cui l’anatomopatologo ha attribuito il danno alla clorpromazina. Anche la normalizzazione dei valori della bilirubina è avvenuta nei tempi descritti in letteratura. Il rialzo delle transaminasi persistente nel tempo anche dopo la risoluzione del quadro colestatico è verosimilmente legato alla steatosi e/o steatoepatite, visti i livelli di ipercolesterolemia. Va detto però che una nuova biopsia epatica non ha confermato un quadro di steatosi o steatoepatite per cui sarà importante seguire l’andamento delle transaminasi.
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Orazio Codella
Medicina Interna B, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata,
Verona
Elena Arzenton
Servizio di Farmacologia
Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata e Università di Verona