Le rare malefatte del tè verde
Le preparazioni a base di tè verde (Camellia sinensis) sono una delle bevande più consumate al mondo, soprattutto dalle popolazioni dei paesi orientali. Storicamente a tale bevanda sono stati attribuiti numerosi effetti benefici per la salute e per questo motivo recentemente ne sono state studiate anche le potenziali attività biologiche.
In particolare alcuni studi hanno mostrato che il consumo di tè verde sarebbe associato a una riduzione del rischio relativo di sviluppare malattie cardiovascolari, malattie neurodegenerative e malattie neoplastiche.1 I potenziali benefici per la salute associati al consumo di tè verde sono stati in gran parte attribuiti alle proprietà antiossidanti dei polifenoli in esso contenuti, in particolare alle catechine, tra cui la più efficace sembra essere l’epigallocatechina-3-gallato (EGCG).
D’altro canto negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni casi di eventi avversi, principalmente a carico del fegato, associati al consumo di preparazioni a base di tè verde (estratto o infusione). In particolare, i prodotti commerciali contenenti dosi elevate di EGCG (con un consumo >300 mg/die) hanno mostrato un significativo potenziale epatotossico, che è stato messo in evidenza dai sistemi di farmaco e fitovigilanza nazionali e internazionali.2,3
Inoltre le catechine del tè verde potrebbero essere in grado di legarsi a determinati farmaci, influenzandone le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche e potrebbero modulare l’attività di specifici enzimi metabolici o addirittura influenzare l’espressione di geni che codificano per i fattori responsabili della biodisponibilità dei farmaci.4 Sebbene questi effetti siano già stati dimostrati in studi in vitro e in vivo in modelli animali, nell’uomo sono stati osservati solo in un numero limitato di casi ai comuni dosaggi di consumo del tè.4
Un caso italiano
Recentemente un interessante caso di epatite autoimmune associato all’assunzione di tè verde è stato segnalato al nostro sistema di farmacovigilanza e fitovigilanza. L’evento è stato innescato dal consumo di un infuso di tè verde in una paziente che assumeva contraccettivi orali ed irbesartan. La combinazione di questi prodotti alle dosi assunte dalla signora (contraccettivi orali più irbesartan più tè verde) normalmente non è in grado di causare danni, tuttavia, a seguito degli esami di approfondimento effettuati, la paziente è risultata essere portatrice di una variante genetica del metabolismo epatico che l’ha resa particolarmente suscettibile allo stress ossidativo. Il suo alterato metabolismo epatico ha determinato in pratica un aumento della concentrazione dei farmaci, i quali hanno finito per interagire in maniera patologica con alcune proteine del fegato, causando in ultima analisi lo sviluppo di una epatite autoimmune.5
Rari ma possibili
Sebbene tali eventi siano da considerarsi rari, una recente pubblicazione di Misaka et al6 ha rilevato potenziali effetti negativi del tè verde quando assunto contemporaneamente con altri farmaci. Lo studio è stato condotto per valutare i suoi effetti sulla farmacocinetica e farmacodinamica dell’antipertensivo nadololo e per ottenere informazioni sui possibili meccanismi di interazione. Dieci volontari sani hanno ricevuto una singola dose orale di 30 mg di nadololo con tè verde o acqua (700 ml/giorno) per 14 giorni. Il tè verde ha ridotto la Cmax del nadololo dell’85,3% e l’area sotto la curva (AUC) dell’85,0% (p<0,01), senza alterarne la clearance renale. Alcuni dei soggetti in esame hanno presentato una riduzione della concentrazione plasmatica del farmaco fino al 75%, con una conseguente riduzione della sua attività ipotensiva.
Il meccanismo alla base sembra essere legato all’inibizione da parte delle epicatechine di uno specifico trasportatore di membrana, l’OATP1A2, implicato nell’assorbimento intestinale dei farmaci. In esperimenti di coltura cellulare, il tè verde sembra infatti capace di inibire questo trasportatore di efflusso cellulare anionico presente sull’epitelio intestinale e in parte responsabile del trasporto intracellulare del nadololo. Questi risultati suggeriscono che l’inibizione di OATP1A2 da parte delle catechine del tè verde possa essere alla base dell’interazione con il nadololo nell’uomo, sebbene non possano essere esclusi altri meccanismi come per esempio una interferenza diretta con l’attività dei citocromi epatici.
Da valutare inoltre è il fatto che tra i substrati dell’OATP1A2 vi sono numerosi altri betabloccanti, e anche statine, antibiotici, chemioterapici e steroidi. Tutto ciò sottolinea l’importanza di avere un servizio di fitovigilanza dedicato alla sorveglianza e allo studio delle reazioni avverse da prodotti di origine naturale, coordinato e gestito da personale altamente formato nel settore della fitoterapia clinica (vedi anche Fitoterapia, la scienza in... campo).
- Cochrane Database Syst Rev 2009;DOI:310.1002/14651858.CD005004. pub2 CDI
- Eur J Clin Pharmacol 2009;65:331-41. CDI NS
- Adv Pharmacoepidemiol Drug Saf 2014;3:170. CDI NS
- Expert Opin Drug Metab Toxicol 2012;8:677-89. CDI
- Phytomedicine 2013;20:1186-9. CDI
- Clin Pharmacol Ther 2014;95:432-8. CDI
1 Centro FV Veneto, 2 Università degli Studi di Firenze
Eugenia Gallo, Alfredo Vannacci
Unità di Farmacoepidemiologia, farmacovigilanza e fitovigilanza, Università di Firenze, Centro di farmacovigilanza della Regione Toscana