La storia della multa da 180 milioni di euro sanzionata dall’antitrust a Roche e Novartis
I fatti e le riflessioni su una vicenda, legata alla farmacovigilanza, che ha raggiunto gli onori della cronaca
I fatti
Il 27 febbraio 2014, come noto dai giornali e dai telegiornali, l’Antitrust ha sanzionato Roche e Novartis con una multa complessiva pari a circa 180 milioni di euro. La motivazione è che le due multinazionali si sarebbero accordate illecitamente per ostacolare la diffusione di un farmaco molto più economico, il bevacizumab (Avastin®), a vantaggio di uno molto più costoso, il ranibizumab (Lucentis®), determinando così un aggravio di spesa complessivo per il solo 2013 pari a oltre 540 milioni di euro. Come già approfondito nel numero di settembre 2012 di Focus, il bevacizumab è stato approvato nel 2005 come terapia sistemica anticancro, mentre il ranibizumab è stato autorizzato nel 2007 per la degenerazione maculare correlata all’età senile (DMLE). Tuttavia, ancor prima che gli studi clinici relativi all’uso di ranibizumab venissero completati, in letteratura si erano diffuse prove di efficacia a favore del bevacizumab. Per questo, a maggio 2007, il bevacizumab è stato inserito dall’AIFA nell’elenco dei farmaci erogabili a totale carico del SSN (legge 648/96) per il trattamento della degenerazione maculare correlata all’età senile. Poco tempo dopo, nonostante l’approvazione del ranibizumab per la degenerazione maculare correlata all’età senile e le contestuali restrizioni sull’uso dei farmaci off label introdotte dalla legge finanziaria del 2007 (in base alla quale diventava possibile somministrare off label un farmaco solo in presenza di studi clinici almeno di fase 2), il bevacizumab è diventato il farmaco più usato in ambito oftalmico.
Nel marzo 2009, a seguito dell’autorizzazione del ranibizumab, il bevacivumab è stato mantenuto nell’elenco della 648/96 per il trattamento di tutte le maculopatie essudative non correlate all’età, per il glaucoma neovascolare e per la degenerazione maculare correlata all’età senile solo per i pazienti già in trattamento col farmaco. In seguito al pronunciamento del TAR del Lazio, intervenuto su ricorso della Pfizer, azienda titolare del pegaptanib (anch’esso indicato nella degenerazione maculare correlata all’età senile), il bevacizumab è stato rimosso dall’elenco dei farmaci della 648/96 per i casi di degenerazione maculare correlata all’età senile già in trattamento. Nel dicembre 2012 la Commissione tecnicoscientifica dell’AIFA ha rimosso il bevacizumab dalla 648, per la presenza di un altro farmaco approvato per le stesse indicazioni e con l’affermazione che esso era meno sicuro.
Secondo l’Antitrust alla base di tutte queste vicende vi sono motivazioni economiche, favorite dall’interconnessione tra Roche e Novartis: entrambi i farmaci, infatti, sono stati sviluppati dalla Genentech, azienda controllata dalla Roche (titolare di bevacizumab) che ottiene royalties dalla Novartis (titolare di ranibizumab). Quest’ultima, a sua volta, è titolare per oltre il 30% della Roche. Aumentare le vendite di ranibizumab a scapito di bevacizumab è stato quindi interesse di entrambe le aziende. In questa situazione la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna (RER), già nell’ottobre 2009, aveva adottato una delibera per il mantenimento dell’utilizzo off label del bevacizumab nel proprio SSR data la notevole differenza in termini di costi per il servizio sanitario in caso di passaggio a un uso esclusivo di ranibizumab (senza vantaggi per il paziente). Un analogo provvedimento è stato preso anche dalla Regione Veneto. La Novartis si è opposta alla delibera della RER, ma il TAR, condividendo la posizione della RER sull’illegittimità della normativa vigente sull’uso off label, ha rinviato il giudizio alla Corte Costituzionale che a breve si dovrà esprimere al riguardo.
Nel frattempo il governo ha emanato un decreto legge, attualmente in discussione nei due rami del Parlamento, che prevede la possibilità di favorire e promuovere l’uso off label di un farmaco per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata al momento della sua commercializzazione. Nel testo si spiega che, anche in presenza di una valida alternativa terapeutica nell’ambito dei farmaci autorizzati, è possibile inserire nella lista 648 (off label) i farmaci che possono essere utilizzati per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza. L’inserimento può avvenire solo previa valutazione dell’AIFA, con conseguente erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale. In caso di inserimento di un medicinale off label nella lista 648, l’AIFA dovrà attivare idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti e assumere tempestivamente le necessarie determinazioni.
Recentemente sono stati diffusi i dati preliminari su una revisione sistematica commissionata dal Servizio sanitario regionale dell’Emilia-Romagna al Centro Cochrane Italiano, condotta con la metodologia Cochrane. I dati sono preliminari e non sono stati ancora pubblicati e suggeriscono che non ci sono prove che il Lucentis® sia più sicuro dell’Avastin® se si considerano tutte le informazioni disponibili da studi clinici controllati e randomizzati. E’ stata appena pubblicata la sintesi di questa revisione fatta dal Centro Cochrane italiano (http://www.cochrane.it).
Il 15 aprile 2014 il Consiglio Superiore di Sanità ha espresso il parere che i due farmaci “non presentano differenze statisticamente significative dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza nella terapia delle degenerazione maculare senile”.
Infine il 9-10 giugno scorsi la Commissione tecnico scientifica (CTS) dell’AIFA si è espressa a favore dell’inserimento del bevacizumab nell’elenco dei farmaci erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale ai sensi della legge 648/96 per il trattamento della degenerazione maculare legata all’età. La CTS ha accolto la richiesta per l’utilizzo del farmaco nell’indicazione non registrata, individuando all’unanimità una serie di condizioni indispensabili a tutela della salute dei pazienti:
• il confezionamento in monodose del bevacizumab per l’uso intravitreale dovrà essere effettuato, per garantirne la sterilità, esclusivamente dalle farmacie ospedaliere in possesso dei requisiti necessari;
• la somministrazione di bevacizumab per uso intravitreale dovrà essere riservata a centri oculistici ad alta specializzazione presso ospedali pubblici individuati dalle regioni;
• la somministrazione del farmaco potrà avvenire solo previa sottoscrizione da parte del paziente del consenso informato, che contenga le motivazioni scientifiche accompagnate da adeguate informazioni sull’esistenza di alternative terapeutiche approvate, seppure a un costo più elevato a carico del SSN;
• l’attivazione di un Registro di moni-
toraggio a cui sia allegata la scheda di
segnalazione delle reazioni avverse. Il ricorso di Roche al TAR del Lazio rispetto a quanto definito dall’Antitrust sarà discusso il 5 novembre 2014.
Il commento
Alla redazione di Focus interessa sottolineare alcuni aspetti chiave di questa triste vicenda. Il primo è che la supposta minore sicurezza del bevacizumab, soprattutto sulle reazioni cardiovascolari, non è stata condivisa dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).Come si può leggere nella motivazione della sentenza dell’Autorità garante della Concorrenza a pagina 83: “Il comitato scientifico di EMA, più in dettaglio, ha espressamente considerato nel suo Avastin Report che ‘non ci sono evidenze che bevacizumab sia sistematicamente più insicuro di ranibizumab e viceversa’ e, nel Lucentis Report, che i dati analizzati ‘erano insufficienti a giustificare un’avvertenza differente che dia l’impressione che Lucentis sia più sicuro rispetto ad altri trattamenti anti-VEGF sotto il profilo degli eventi avversi sistemici’”. E’ comunque difficile spiegare perché queste decisioni di EMA debbano essere conosciute solo dalle Agenzie regolatorie e (a meno di casi eccezionali come la sentenza dell’Antitrust) non siano a disposizione della comunità scientifica. Va anche ricordato che nell’aprile 2013 l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito il bevacizumab nella WHO EM list quale (unico) farmaco antiangiogenico destinato al trattamento di patologie della vista. Il secondo problema, non meno importante, riguarda gli effetti che l’eliminazione del bevacizumab dalla lista 648 ha determinato nell’accessibilità dei pazienti alle cure. La scomparsa di un farmaco con la stessa efficacia e sicurezza (il bevacizumab), ma molto meno costoso del ranibizumab, non ha solo appesantito i già traballanti bilanci della sanità delle regioni, ma per effetto dei tetti di spesa di ospedali e case di cura e dei controlli sulla spesa farmaceutica potrebbe aver determinato il mancato accesso alle cure di molti pazienti che o non le hanno avute o le hanno ricevute in ritardo. Alla redazione di Focus sembra di poter affermare che i comportamenti collusivi tra aziende farmaceutiche, come quelli che sarebbero stati ravvisati dall’Antitrust in questo caso, e l’interpretazione dei regolamenti e degli studi in senso univoco e parziale non possano che portare a una tristissima pagina nella storia della attività regolatoria. E’ nostra opinione che ormai solo profonde e radicali modifiche possano ridare fiducia ai cittadini.