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Lunedì, Giugno 30, 2014

Il profilo di sicurezza della marijuana

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Il National Institute on Drug Abuse di Bethesda ha condotto una revisione sugli eventi avversi associati all’uso di marijuana. Gli autori sostengono che questo lavoro risponde alla necessità di fornire agli operatori sanitari informazioni affidabili e documentate per rispondere alle domande dei loro pazienti in un momento in cui la legalizzazione di questa sostanza si sta diffondendo e nell’opinione pubblica continua a prevalere, e potrebbe rafforzarsi proprio grazie alla legalizzazione, la sensazione che i pericoli per la salute siano trascurabili.  

Prima di tutto la revisione chiarisce che l’uso di marijuana comporta a lungo termine un rischio non trascurabile di dipendenza. Si stima una frequenza del 9% adottando i criteri del DSM-IV, più alta se l’iniziazione si verifica in età adolescenziale (1 caso su 6) o con l’impiego giornaliero (dal 25% al 50% dei casi).  

Sempre l’impiego in età adolescenziale può determinare alterazioni funzionali e strutturali (con modificazioni recettoriali significative) del sistema nervoso centrale. Gli adulti che hanno utilizzato in gioventù la marijuana hanno alterazioni della connettività neuronale nelle aree coinvolte nello stato di allerta e di coscienza, nelle capacità di apprendimento e di memoria, nell’elaborazione dei comportamenti e delle abitudini, e nel controllo inibitorio. Hanno inoltre un quoziente intellettivo ridotto rispetto a soggetti di controllo mai esposti alla sostanza.

Tra gli effetti dell’impiego a breve termine (intossicazione) si annoverano la perdita della memoria e della percezione del tempo e del controllo della funzioni motorie. Questo quadro è alla base di tragiche conseguenze, prime fra tutte gli incidenti sulle strade.

Inoltre  i tentativi di cessazione non sono facili, perché la sindrome di astinenza è un evento frequente. Senza dimenticare che l’uso di marijuana predispone a quello di altre sostanze di abuso.

Alcuni studi hanno anche individuato una relazione con il rischio di depressione, disturbi d’ansia e psicosi, ma i dati non sono univoci e nella valutazione dei risultati pesano interferenze con la predisposizione su base genetica. 

Altrettanto indefinite sono le associazioni con alcune forme neoplastiche, tipicamente il tumore del polmone, rispetto al quale la storia di fumo di sigaretta rappresenta un forte fattore di confondimento.  

Molti degli effetti negativi associati alla marijuana, che resta la sostanza d’abuso più diffusa negli Stati Uniti in genere per via inalatoria (nel 2013 ne ha fatto uso il 12% dei cittadini sopra i 12 anni), sono documentati con ragionevole certezza. Ad accrescere l’allarme c’è il fatto che contenuto di tetraidrocannabinolo nei prodotti di abuso è aumentato nel tempo, da circa il 3% negli anni ’80 all’attuale 12%.

La revisione passa anche in rassegna gli impieghi terapeutici a oggi proposti: trattamento del glaucoma, di nausea e vomito da chemioterapia, dell’anoressia associata alla wasting syndrome nell’AIDS, del dolore cronico e degli stati infiammatori, della sclerosi multipla e dell’epilessia. Al di là della forza delle prove di efficacia, solide al momento per il dolore cronico, è bene considerare che ogni caso di autorizzazione per nuove indicazioni comporterà la necessità di controllare attentamente anche i possibili effetti avversi.  

Volkow ND, Baler RD, et al. Adverse health effects of marijuana use. N Engl J Med 2014;370:2219-27.

e-mail ricercatore: nvolkow@nida.nih.gov  

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