Gli effetti sul cuore degli inibitori della colinesterasi
Bradicardia, spesso misconosciuta, e sincopi sono possibili con i farmaci che inibiscono la colinesterasi, usati nei casi di demenza di Alzheimer e non solo
Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi
Gli inibitori della acetilcolinesterasi (AchE-I), quali il donepezil, la galantamina e la rivastigmina, sono gli unici farmaci, assieme alla memantina (antagonista del recettore del glutammato) che hanno ottenuto l’indicazione per il trattamento sintomatico della malattia di Alzheimer, ma sono in realtà impiegati anche per trattare altri tipi di demenza.3,4 Essi agiscono bloccando reversibilmente l’attività dell’acetilcolinesterasi, enzima deputato alla rapida idrolisi dell’acetilcolina, aumentando così i livelli centrali del neurotrasmettitore. Il consumo medio di inibitori della acetilcolinesterasi stimato in Italia dal 2008 al 2010 ammonta a 0,974 DDDs per 1.000 abitanti/die (defined daily dose) per il donezepil, 0,448 DDDs per 1.000 abitanti/die per la rivastigmina, 0,112 DDDs per 1.000 abitanti/die per la galantamina e 0,211 DDDs per 1.000 abitanti/die per la memantina. Gli effetti avversi più spesso riportati sono diarrea, nausea, vomito e più raramente effetti cardiovascolari.2
La bradicardia spesso misconosciuta
E’ stato evidenziato come l’inizio di una terapia con inibitori della acetilcolinesterasi sia associato a un raddoppio del rischio di ospedalizzazione per bradicardia.5 Questa cardiotossicità è spesso misconosciuta dai clinici tanto che nel 50% dei pazienti ricoverati per bradicardia tale terapia viene nuovamente prescritta.5 Se questi farmaci non vengono riconosciuti come causa della bradicardia sintomatica, il paziente può andare incontro a serie conseguenze, oltre che a indagini costose.6 Un recente studio non ha rilevato una correlazione tra l’uso di inibitori della acetilcolinesterasi e l’incremento di effetti cronotropi negativi, ipotensivi o aritmie in anziani con malattia di Alzheimer;7 in un altro studio, invece, è stato evidenziato un modesto rischio di bradicardia, ma a dosaggi elevati.4
A questo proposito bisogna comunque ricordare che la bradiaritmia può essere transitoria6 e un controllo elettrocardiografico può non rilevarla. Inoltre i criteri di eleggibilità negli studi clinici spesso escludono i pazienti più fragili, cioè quelli più anziani con comorbilità importanti e polifarmacoterapia, e questo può creare un bias importante nella valutazione rischi/benefici di un farmaco nella popolazione bersaglio.8 Tuttavia, non è ancora chiaro quale sia la percentuale di bradicardia o sincope da inibitori della acetilcolinesterasi nella pratica clinica quotidiana. Dobbiamo ricordarci che i pazienti con demenza hanno un’elevata prevalenza di instabilità neurocardiovascolare, che può manifestarsi con bradiaritmia, sindrome vasovagale, sindrome del seno carotideo, ipotensione ortostatica e ipotensione post prandiale.9 Nella pratica clinica quotidiana i pazienti che assumono questi farmaci sono mediamente più anziani e hanno comorbilità più importanti di quelli arruolati negli studi clinici; inoltre la percentuale di sospensione della terapia è più alta nei pazienti non rappresentati negli studi clinici, probabilmente anche per la maggiore incidenza di reazioni avverse da farmaco.10 Secondo alcuni autori, l’uso di inibitori della acetilcolinesterasi, oltre che alla bradicardia, sarebbe associato nei pazienti anziani con demenza a un incremento di incidenza di sincope, impianto di pacemaker e frattura di femore.6 Bisogna sottolineare che i pazienti con demenza che vanno incontro a una frattura di femore hanno un elevato rischio di ulteriore declino funzionale, istituzionalizzazione e morte.11
L’ipotetico meccanismo d’azione
Gli inibitori della acetilcolinesterasi svolgono il loro effetto farmacologico, anche a livello cardiaco, amplificando e prolungando la risposta colinergica. Una possibile spiegazione del loro effetto sul cuore è legata al fatto che i recettori muscarinici, soprattutto del sottotipo M2, sono presenti in gran numero nel tessuto di conduzione del miocardio, a livello del nodo senoatriale e del nodo atrio-ventricolare e sono responsabili della risposta colinergica cardiaca di tipo cronotropo negativo e dromotropo negativo (allungamento all’elettrocardiogramma del tratto PR, fino allo sviluppo di un blocco atrio-ventricolare).12,13 In minor misura sono presenti recettori muscarinici M2 sia nel miocardio atriale sia in quello ventricolare aspecifico e questi sono responsabili della risposta inotropa e batmotropa negativa al segnale colinergico.12,13
In pratica
I dati sopra riportati sottolineano la necessità, soprattutto nei pazienti con importanti comorbilità cardiologiche, di una attenta valutazione del rapporto rischi/benefici prima di iniziare, e nel prosieguo, di una terapia con inibitori della acetilcolinesterasi, che va poi sottoposta a un attento monitoraggio. Nel caso si manifestasse una sincope, come consigliato anche dai criteri di Beer’s, è importante la sospensione della terapia con inibitori della acetilcolinesterasi.14
I numeri della demenza
Il termine demenza deriva dal latino dementia, senza mente. La caratteristica essenziale di una demenza è lo sviluppo di molteplici deficit cognitivi che comprendono la compromissione della memoria e almeno una delle seguenti alterazioni cognitive: afasia, aprassia, agnosia o un’alterazione del funzionamento esecutivo. Tali deficit cognitivi devono essere sufficientemente gravi da provocare una significativa riduzione della capacità di svolgere le comuni attività della vita quotidiana e devono rappresentare un deterioramento rispetto a un precedente livello di funzionamento.
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza, rappresentando dal 50% al 75% dei casi, soprattutto nelle fasce di età più avanzate. La demenza fronto-temporale spiega circa il 2-25% di tutte le demenze, la demenza vascolare il 10-20%, le demenze miste il 10-30% e la demenza a corpi di Lewy il 5-10%.1 A livello mondiale si stima che nel 2010 fossero 36,5 milioni le persone affette da demenza, con 7,7 milioni di nuovi casi ogni anno e un nuovo caso di demenza ogni 4 secondi. Dato l’aumento della durata della vita, si stima che il numero di persone affette da demenza raddoppierà ogni 20 anni, fino a 65,7 milioni nel 2030 e 115,4 milioni nel 2050.2
- Micromedex 2.0.
- Archives of Medical Research 2012;43:600-8. #nnn#
- J Gerontol 2010;58:64-8. CDI NS
- J Am Geriatr Soc 2009;57:1997-2003. #nnn#
- PLoS Med 2009;DOI:10.1371/journal.pmed. 1000157 CDI #ffn#
- Arch Intern Med 2009;169:867-73. CDI #nnn#
- Am J Alzh Dis Other Dement 2012;27:171-4. #nnn#
- N Engl J Med 2012;367:1972-4. CDI #nnn#
- Ann N Y Acad Sci 2002;977:183-95. CDI NS
- Can J Clin Pharmacol 2004;11:e274-85. #nnn#
- Lancet 2001;357:1264-5 CDI NS
- Physiol Rev 1994;74:323. CDI NS
- Eur J Pharmacol 1978;52:235-8. CDI NS
- J Am Geriatr Soc 2012;60:616-31. CDI #fnn#
1 III Geriatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona
2 Servizio di farmacologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e Università di Verona