Fitoterapia, la scienza in... campo
L’argomento “erbe” suscita spesso istintivamente, nel farmacologo come nel clinico, un immediato sentimento di irrigidimento, perplessità, circospezione, diffidenza o totale contrarietà non tanto per partito preso quanto per la reale presenza di numerosi fattori destabilizzanti quali anzitutto la contemporanea presenza di numerose sostanze, attive o non attive, all’interno della medesima specie botanica. E poi ancora l’ampia variabilità delle stesse durante il ciclo biologico della pianta, ma anche la disponibilità di specie botaniche simili che contengono sostanze molto diverse tra loro, la apparente poca chiarezza normativa che separi le piante potenzialmente utili da quelle inutili o dannose, la disponibilità sul mercato di prodotti erboristici utilizzati invece come medicinali, i possibili contaminanti ambientali, le insidie delle interazioni farmacologiche, per non parlare della tossicità intrinseca di sostanze ben note, una per tutte l’efedrina.
Tutto questo rischia di impedire una disamina razionale di questo mondo, vissuto come “altro”, come diverso, talvolta anche come alternativo alla medicina stessa, rischiando di condizionare il clinico, e lo stesso farmacologo, che si trovasse per esempio ad analizzare una sospetta reazione avversa da prodotto “naturale”.
Occorre fare chiarezza
Quindi prima di tutto occorre fare chiarezza. C’è la possibilità di usare singole sostanze di origine naturale, registrate come farmaci, dotate cioè di regolare autorizzazione all’immissione in commercio, ma c’è anche la possibilità di utilizzare come medicinali estratti di piante, che invece contengono più sostanze attive, presenti ugualmente all’interno di specialità medicinali registrate. Anche in questi casi abbiamo la disponibilità di schede tecniche e delle relative autorizzazioni da parte delle Autorità sanitarie nazionali. Si parla in questo caso di fitoterapici controllati, sottoposti ai controlli preventivi e che, come tutti i farmaci, hanno già subìto un’analisi del rapporto rischio beneficio. Alcune di queste specialità medicinali sono prescrivibili con obbligo di ricetta medica, altre invece senza come farmaci da banco. C’è infine la possibilità sempre prevista dalle normative, di utilizzare estratti di piante in forma di preparati galenici, per i quali il farmacista deve garantire sicurezza e qualità delle materie prime utilizzate, secondo le specifiche previste dalle Farmacopee di riferimento.
Tutto questo per dire che un settore del mondo delle erbe apparentemente non controllato né controllabile è in realtà controllato e controllabile. La gestione corretta e appropriata di questi prodotti nel paziente è possibile ovviamente in relazione alla disponibilità di studi clinici, revisioni della letteratura e in buona sostanza di prove di efficacia, ivi compresa la disponibilità di dati relativi a rischi, tossicità, interazioni farmacologiche o reazioni allergiche. Quanto alla garanzia di sufficienti e adeguate prove di efficacia, queste possono in realtà essere l’elemento debole della catena quando il medico ricorre all’uso di preparazioni galeniche, quindi non registrate come specialità, per le quali è il medico stesso che deve assumersi la responsabilità.
Il passaggio verso “l’altro mondo”
E’ questo il punto di passaggio verso “l’altro mondo” dei prodotti vegetali. Quello cioè dei prodotti non medicinali, dei prodotti a base di erbe che invece appartengono al mondo degli integratori e dei prodotti erboristici in senso lato, che la normativa vorrebbe previsti “solo” per integrare un’alimentazione carente in alcuni elementi macro o micronutrienti, oppure per sostenere fisiologicamente una o più funzioni del nostro organismo, senza quindi una valenza terapeutica. Proprio questa è la finestra che apre al mondo ampio, numeroso e per certi versi caotico, dei prodotti a base di erbe che non dovrebbero essere utilizzati a scopo medicinale, ma che comunque contengono sostanze attive e che possono avere anche alcune interessanti proprietà dietetiche, nutrizionali, farmacologiche, ma anche tossicologiche. Circa 40.000 sono gli integratori a base di erbe disponibili sul libero mercato del nostro paese.
La considerazione ulteriore, obbligatoria a questo punto, è che l’utilizzatore finale in questa ampia disponibilità di libero mercato di prodotti naturali senza il timbro di “farmaco” legge di fatto una sorta di autorizzazione verso un’automedicazione che può esporre invece a rischi spesso sottovalutati. Perché nella maggior parte dei casi l’automedicazione con prodotti naturali è attuata in realtà con prodotti non medicinali, non destinati cioè alla vera automedicazione, e quindi non controllati per questo scopo, se non addirittura con prodotti di elaborazione domestica, preparati dopo una raccolta spontanea di erbe, con tutti i rischi annessi e connessi, che vanno dalla raccolta di erbe tossiche scambiate per erbe salutari alla raccolta invece di erbe salutari raccolte tuttavia in luoghi insalubri come i bordi delle strade. O infine l’automedicazione con prodotti naturali in aggiunta a una terapia farmacologica già in atto, misconoscendo il potenziale rischio di interazioni farmacologiche pericolose, anche fatali.
Volendo essere ottimisti, supponendo per esempio che il nostro paziente assuma un prodotto naturale qualitativamente controllato dal punto di vista della qualità e della sicurezza, non possiamo trascurare il fatto che talvolta le erbe vengono utilizzate non tanto sulla base di prove di efficacia scientificamente acquisite, bensì solo sulla base di un uso tradizionale. Quindi non provato, non documentato con trial clinici, semmai solo ipotizzabile in relazione a qualche studio farmacologico oppure epidemiologico. E la tradizione, da una parte, come lo studio del meccanismo d’azione dall’altra sono solo due dei tanti possibili tasselli utili a definire il nostro puzzle, nessuno dei quali tuttavia sufficiente a garantire efficacia e sicurezza d’uso. Quindi hanno ragione il clinico o il farmacologo a essere titubanti, incerti e sospettosi quando si parla di “erbe”? Sì, certo, come deve esserlo però qualunque ricercatore verso qualunque dato emerga dai suoi esperimenti. Come altrettanto aperto deve essere un ricercatore a qualunque dato emerga dagli esperimenti, suoi o di altri, accettati dalla comunità scientifica.
L’importanza della fitovigilanza
Ecco allora che la fitoterapia, intesa come branca della medicina che studia e utilizza i fitoterapici a scopo preventivo e curativo non può ideologicamente, e con accezione negativa, essere tacciata di “proto-farmacologia” né, al contrario, essere accettata e vissuta come “medicina naturale” emblema di una medicina buona e rispettosa del paziente al contrario di quella ufficiale. La medicina è una, le regole sono uguali per tutti, sia per la dimostrazione di prove di efficacia sia al contrario per la valutazione degli effetti indesiderati. Il metodo scientifico è sovrano comunque.
La peculiarità del fitoterapico, rappresentata da un complesso di sostanze, può risiedere nel migliore assorbimento di certe molecole quando inserite in un fitocomplesso, nel loro meccanismo d’azione sinergico in alcuni casi, nella ridotta tossicità in altri, proprio in virtù della presenza di sostanze che impediscono per esempio l’attivazione metabolica della loro tossicità, come si verifica quando si assume un infuso di finocchio, i cui flavonoidi impediscono l’attivazione tossica dell’estragolo. E al tempo stesso le medesime peculiarità del fitocomplesso sono responsabili anche dei rischi paventati. Più sostanze contenute espongono a maggiori rischi di allergia, di interazioni farmacologiche, di mancato raggiungimento della soglia di efficacia farmacologica. La presenza di più sostanze rende complicato, talvolta impossibile uno studio analitico e completo del meccanismo d’azione di un fitoterapico, così come l’analisi di una possibile reazione avversa, compreso lo studio del nesso di causalità tra reazione e prodotto naturale. Ciò accade soprattutto quando nel prodotto naturale assunto dal paziente c’è la contemporanea presenza di numerose erbe, condizione molto comune quando si ricorre all’automedicazione incontrollata. Tutto questo ci porta a sottolineare l’importanza del sistema di fitosorveglianza attivato a partire dal 2002 presso l’Istituto Superiore di Sanità (www.epicentro.iss.it), in accordo con l’AIFA e il Ministero della Salute, perché consente la rilevazione e l’analisi delle segnalazioni spontanee, tassello fondamentale di studio per la comprensione dei possibili meccanismi di tossicità, ma anche per la rilevazione sul mercato di eventuali prodotti non conformi alle normative regolatorie. Un sistema che è stato voluto appositamente per i prodotti naturali non registrati come medicinali, quelli cioè in teoria che fanno esporre a maggiori rischi, i più importanti dei quali sono le possibili contaminazioni ambientali (come i metalli pesanti e le aflatossine), la presenza di quantità di sostanze non conformi, una tipologia di estratto diversa da quella attesa, la quantità e le concentrazioni di principi attivi variabili, piuttosto che un uso clinico non appropriato. Di fronte quindi a una sospetta reazione avversa diventa importante l’analisi quali-quantitava del prodotto o dei prodotti implicati per poi passare a una valutazione della segnalazione nel suo complesso.
- Ann Ist Sup Sanita 2005;41:27-33 CDI NS Pharmacoepidemiol Drug Saf 2008;17:626-35 CDI
Centro di riferimento per la Fitoterapia, Regione Toscana Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze