Epoetine biosimilari sotto la lente della sicurezza
L’insufficienza renale cronica oggi costituisce un problema di salute pubblica di prima grandezza su scala mondiale: in Italia si stima che una persona su sette abbia una compromissione della funzione renale di grado moderato, cioè una funzionalità renale dimezzata o più che dimezzata rispetto alla norma.1 Nell’insufficienza renale cronica si osserva la perdita progressiva e irreversibile delle funzioni renali fino al raggiungimento di un stadio terminale che, inevitabilmente, richiede l’instaurarsi di un trattamento sostitutivo rappresentato dalla dialisi o dal trapianto renale. Inoltre lo stato di nefropatia cronica è generalmente associato allo sviluppo di anemia, la cui causa principale è rappresentata da un’inadeguata sintesi di eritropoietina (Epo) da parte delle cellule interstiziali peritubulari del rene. Prima della disponibilità delle eritropoietine iniettabili le trasfusioni erano l’unico strumento di correzione dello stato anemico di un paziente, con tutti i rischi a esse connessi; nel 1988, grazie alla tecnica del DNA ricombinante, è stata commercializzata la prima epoetina alfa approvata per l’uso clinico, divenuta poi la molecola capostipite degli agenti stimolanti l’eritropoiesi (Erythropoietin Stimulating Agents, ESA). In particolare le linee guida raccomandano l’utilizzo di eritropoietina ricombinante nell’anemia associata a insufficienza renale cronica nei pazienti dializzati allo scopo di mantenere l’emoglobina tra i 10 e i 12 g/dl. In seguito allo scadere del brevetto, avvenuto nel 2004, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha approvato tre versioni biosimilari di epoetina, cioè molecole biologicamente attive comparabili con il farmaco originatore in termini di qualità, sicurezza ed efficacia.
Nonostante la commercializzazione dei biosimilari sia stata ben accolta dalla comunità scientifica perché ha consentito una riduzione della spesa farmaceutica e il conseguente accesso alla terapia a più pazienti, permane una certa diffidenza verso il loro utilizzo dovuta da un lato a una non completa informazione sul processo normativo di approvazione, dall’altro a timori circa una presunta maggiore tossicità dei biosimilari rispetto ai farmaci originatori.2,3
Alla luce di queste titubanze la regione Veneto ha promosso uno studio di coorte multicentrico prospettico finanziato nell’ambito dei progetti interregionali AIFA sulla farmacovigilanza, la cui raccolta dati è iniziata a fine 2013, che ha coinvolto altre tre regioni italiane (Liguria, Molise e Sardegna). ESAVIEW è uno studio di farmacosorveglianza il cui obiettivo primario è mettere a confronto l’epoetina originatore con i biosimilari in termini di sicurezza, valutando l’incidenza di eventi avversi, e in secondo luogo di efficacia, attraverso il conteggio delle DDD (dose giornaliera definita).
Alla data d’inizio sono stati inclusi i pazienti dializzati già in trattamento con un’epoetina (prevalenti), mentre nei 6 mesi successivi è stato possibile reclutare i nuovi utilizzatori, definiti incidenti. Ciascun paziente è stato osservato ove possibile per 12 mesi, o comunque fino all’uscita dallo studio per decesso, trapianto o trasferimento alla dialisi peritoneale o ad altro centro non incluso nella sperimentazione. Monitor appositamente formati hanno registrato mensilmente su una piattaforma online i dati riguardanti la terapia intradialitica, la terapia domiciliare, alcuni parametri di laboratorio significativi, le eventuali trasfusioni e gli eventi gravi, che hanno costretto il paziente ad accedere al Pronto soccorso o al ricovero. L’intento dello studio è stato perciò quello di raccogliere informazioni su ciò che avviene abitualmente nei centri di emodialisi, in particolare rispetto alla gestione della terapia con epoetina nel paziente emodializzato. La raccolta dati è terminata lo scorso anno e a oggi è in corso l’analisi statistica. Questo scritto è solo un anticipo dello studio, a conclusione dell’analisi vi proporremo l’articolo con i risultati.
- Clin J Am Soc Nephrol 2010;5:1946-53. CDI
- Oncologist 2009;14(Suppl 1):16-21.
- Evidence 2015;7(11):e1000124 CDI
Sezione di Farmacologia, Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Verona