Cristalloidi o fisiologica, stesso rischio di danno renale

Uno studio randomizzato, in doppio cieco con disegno cross over condotto in 4 unità di terapia intensiva neozelandesi stabilisce che l’infusione di una soluzione elettrolitica bilanciata (cristalloidi) o di soluzione fisiologica (NaCl 9%) comporta un rischio potenziale simile di danno renale. Il disegno sperimentale ha previsto che i 2.278 pazienti arruolati con condizioni sia mediche sia chirurgiche (questi ultimi a rischio post operatorio lieve-moderato secondo il punteggio standardizzato APACHE II, Acute Physiology and Chronic Health Evaluation) fossero esposti alternativamente ai due interventi per periodi di 7 settimane nell’arco di una durata complessiva dello studio di 28 settimane. Il volume di soluzione infusa è stata nell’insieme contenuto (valore mediano 2 litri) e la somministrazione si è concentrata in genere nella prima giornata di ricovero in terapia intensiva.

La frequenza di insufficienza renale acuta (creatininemia almeno raddoppiata o valori ≥3,96 mg/dl con un aumento ≥0,5 mg/dl rispetto al basale) nei primi 90 giorni è risultata simile con i cristalloidi e la salina (9,6%, vs 9,2%; differenza assoluta 0,4%, limiti di confidenza al 95% da  −2,1% a 2,9%; rischio relativo 1,04, limiti di confidenza al 95% da 0,8 a 1,36; p=0,77.

Non erano significativamente diversi neppure i tassi di ricorso alla dialisi (3,3% vs 3,4%, differenza assoluta −0,1%, limiti di confidenza al 95% da −1,6% a 1,4%; rischio relativo 0,96, limiti di confidenza al 95% da 0,62 a 1,5; p=0,91) e la mortalità durante il ricovero (7,6% vs 8,6%, differenza assoluta −1%, limiti di confidenza al 95% da −3,3% a 1,2%; rischio relativo 0,88, limiti di confidenza al 95% da 0,67 a 1,17; p=0,4).

E’ noto che l’impiego della soluzione fisiologica per via endovenosa a scopo di reidratazione o di controllo della volemia comporta il rischio di insufficienza renale acuta e si associa a un aumento della mortalità. Questi risultati escludono tuttavia che le soluzioni elettrolitiche bilanciate rappresentino nei pazienti critici una valida alternativa, come era stato suggerito da precedenti studi con metodologia meno rigorosa.