COVID-19: sicurezza d’uso di eparine e corticosteroidi nell’anziano
I pazienti con più di 70 anni di età sono più a rischio di forme gravi di COVID-19 e di morire a causa dell’infezione.1,2,3 La presenza di multiple condizioni preesistenti, come patologie cardiovascolari e respiratorie, diabete e insufficienza renale, la fragilità e un’alterata risposta immunitaria legata all’invecchiamento rendono gli anziani maggiormente vulnerabili a COVID-19.2,3
L’uso di alcuni famaci, tra cui i corticosteroidi e le eparine a basso peso molecolare, ha consentito un miglioramento nella gestione dei pazienti con COVID-19, tuttavia questi farmaci hanno delle indicazioni d’uso ben definite in corso di COVID-19 e possono dare luogo a reazioni avverse, in particolare nella popolazione anziana.
Corticosteroidi
In funzione delle note proprietà immunomodulanti, l’uso dei corticosteroidi nel trattamento della COVID-19 è stato dibattuto fin dall’inizio della pandemia.4
A luglio 2020, il New England Journal of Medicine ha pubblicato, in versione preliminare, i dati dello studio RECOVERY, segnando un iniziale punto di svolta nella storia naturale della COVID-19.5 Lo studio RECOVERY mostra infatti che il trattamento con desametasone è significativamente associato a una riduzione della mortalità a 28 giorni nei pazienti affetti da COVID-19 sottoposti a supplementazione di ossigeno, inclusi i pazienti in ventilazione meccanica invasiva.5
A settembre 2020, i principali enti di salute, tra cui l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno modificato di conseguenza le linee guida per la gestione della terapia corticosteroidea nella COVID-19, approvando l’utilizzo di 10 mg/die di desametasone per un totale di 10 giorni nei pazienti con insufficienza respiratoria.4
Pur segnando una svolta fondamentale, il RECOVERY non forniva dati sulla sicurezza di tale terapia. Ciononostante, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha suggerito che il trattamento con desametasone non si associ a un aumento di eventi avversi, eccetto che per l’incremento dell’incidenza di iperglicemia e ipernatriemia.6
I pazienti anziani fragili, affetti da patologie multiple e in politerapia, sono particolarmente suscettibili a sviluppare eventi avversi legati ai farmaci, compreso il desametasone. Prima fra tutti la già citata iperglicemia, con necessità di incremento del fabbisogno di terapia ipoglicemizzante qualora abbiano un diabete. Inoltre, l’uso di corticosteroidi a dosaggio elevato può determinare uno squilibrio idro-elettrolitico, favorendo il rischio di ipernatriemia, ma allo stesso tempo di ritenzione idrica, edema e crisi ipertensive.6 Un riscontro comune è anche quello dell’ipocaliemia, che espone il paziente a ulteriori eventi avversi come le aritmie.7
Le alterazioni elettrolitiche e la relativa disidratazione, in associazione alla chiara presenza di uno stato infiammatorio reattivo all’infezione in atto, possono inoltre favorire l’insorgenza di delirium, già di per sé una delle complicanze dell’ospedalizzazione più frequenti nei pazienti anziani.8 Inoltre, l’esposizione al trattamento con steroidi incrementa il rischio di sovrinfezioni batteriche e micotiche, altra comune complicanza dei pazienti anziani ospedalizzati.9,10
Infine il desametasone non solo aumenta il rischio di sanguinamento gastrointestinale, ma è anche un moderato induttore del CYP3A4 e pertanto interagisce con il metabolismo di diversi farmaci tra cui il warfarin, determinando difficoltà nel controllo dell’INR ed esponendo il paziente a un rischio sia trombotico sia emorragico.4,6
In conclusione, l’uso di corticosteroidi, sebbene rappresenti una terapia fondamentale in corso di insufficienza respiratoria in pazienti con COVID-19, deve essere accompagnato a strategie volte a prevenire le possibili complicanze legate a queste terapie, quali il controllo dell’equilibrio idro-elettrolitico e della pressione arteriosa, la prevenzione del rischio emorragico, tramite l’uso di gastroprotettori, e un’adeguata revisione della terapia ipoglicemizzante nei pazienti diabetici.
Eparine a basso peso molecolare
Il razionale alla base dell’uso delle eparine a basso peso molecolare in corso di COVID-19 si basa sulla consapevolezza che l’infezione favorisce uno stato iperinfiammatorio e protrombotico, tale da esporre il paziente a un aumentato rischio di tromboembolismo venoso e polmonare.11,12
Diversi studi osservazionali hanno mostrato come, nel complesso, vi sia un chiaro beneficio in termini di riduzione della mortalità in caso di utilizzo di eparine a basso peso molecolare in pazienti affetti da COVID-19.12 Difficile è però dedurne indicazioni definitive a causa delle differenze tra le popolazioni considerate e le diverse posologie di trattamento, variabili tra una dose profilattica, “intermedia” o terapeutica. L’Agenzia Italiana del Farmaco consiglia l’uso di una dose profilattica in caso di pazienti allettati o con ridotta mobilità, mentre pone indicazioni a posologie intermedie o terapeutiche in casi gravi di COVID-19 e in pazienti ad alto rischio trombotico.12
Sebbene le eparine a basso peso molecolare possano apportare benefici ai pazienti con COVID-19, questi farmaci vanno utilizzati con cautela negli anziani. Anzitutto il dosaggio delle eparine a basso peso molecolare va regolato in base alla funzione renale del paziente. Questo è particolarmente importante nei pazienti anziani fragili e di basso peso corporeo, che possono avere un’insufficienza renale inapparente (riduzione della funzionalità renale con normali livelli di creatinina).
Inoltre, il rischio di sanguinamenti è più elevato nella popolazione anziana: casi di epistassi spontanea, sanguinamento gastrointestinale ed emorragia cerebrale sono stati documentati maggiormente in pazienti anziani affetti da COVID-19 in trattamento con eparine a basso peso molecolare.13-15
Per queste ragioni è importante utilizzare un dosaggio di eparine a basso peso molecolare che non aumenti il rischio emorragico. La rivista JAMA ha recentemente pubblicato uno studio che valuta l’efficacia della somministrazione di una dose intermedia di eparine a basso peso molecolare per prevenire gli eventi trombotici in pazienti ricoverati in terapia intensiva a causa di COVID-19. I risultati sono chiari: la dose intermedia non sembra avere un vantaggio rispetto alla dose profilattica standard nel prevenire il tromboembolismo venoso, mentre si associa a un maggior numero di eventi emorragici maggiori.11
Benché vi sia bisogno di dati più precisi, nel paziente anziano affetto da COVID-19 è sicuramente necessario effettuare una valutazione del rapporto rischi/benefici, preferendo la somministrazione di enoxaparina a dosaggio preventivo per l’allettamento, a maggior ragione se in concomitante trattamento con corticosteroidi, salvo casi attentamente valutati.
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Maria Beatrice Zazzara1, Graziano Onder2, Luca Pellizzari3
1 Centro di Malattie dell’Invecchiamento, Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli
2 Direttore Dipartimento Malattie Cardiovascolari, Endocrinometaboliche e Invecchiamento, Istituto Superiore di Sanità, Roma
3 Geriatria A, Ospedale Civile Maggiore, Verona