Comunicazione e informazione sulla sicurezza dei farmaci
Provate a trovare qualcuno che sostenga l’inutilità dell’informazione in farmacovigilanza. Sono sicuro che non avrete molto successo. Nonostante ciò, non vi sono indicazioni chiare su come e soprattutto quando debbano essere utilizzati gli strumenti per informare e comunicare tutti i dati ritenuti necessari ad aumentare la sicurezza dei farmaci. Insomma, anche se la nuova regolamentazione europea dedica ampio spazio, nell’ambito del Risk Management Plan, alle attività “educational”, se volete avere un’idea concreta di che cosa si possa fare – o di che cosa possiamo aspettarci – in termini di informazione e/o comunicazione quando si fa farmacovigilanza troverete diverse difficoltà. Innanzitutto vale forse la pena intendersi sui termini. L’attività di informazione sulla sicurezza dei farmaci riguarda tutta quella sfera di dati e di nozioni che, a partire dal disastro della talidomide, gli enti regolatori internazionali mettono a disposizione di prescrittori, operatori sanitari e pazienti. Di fatto fin dagli anni sessanta non è più lasciato alle sole aziende farmaceutiche il compito di informare operatori sanitari e pazienti circa i rischi a cui si espongono assumendo un medicinale.
In pratica, le schede tecniche per i prescrittori e i foglietti illustrativi per i pazienti svolgono un ruolo che nel tempo possiamo dire che è addirittura migliorato in termini di linguaggio ed efficienza. Tutto ciò, però, non risolve la possibile attività di comunicazione necessaria a governare il rischio associato a un farmaco. Quest’ultima attività prevede infatti un ruolo più attivo e il coinvolgimento di chi riceve le informazioni e non si accontenta di avere disponibili i dati sulla sicurezza. Da questo punto di vista gli strumenti devono poter essere disponibili a interagire a seconda di specifici quesiti. In passato centri di informazione sui farmaci, centri antiveleni, oppure strumenti editoriali più allargati hanno cercato di assolvere a questo ruolo. In rari casi sono state le stesse agenzie regolatorie a mettere a disposizione bollettini o newsletter. Ancora più raramente queste esigenze sono state “misurate” per capire la capacità di avere una reale influenza sulle attitudini prescrittive e, quindi, anche sulla capacità di influire sull’esposizione a rischi legati all’uso dei medicinali.
Fatta questa premessa è opportuno chiedersi quanto le nuove regole sulla farmacovigilanza aggiungano all’attività di comunicazione sulla sicurezza dei farmaci. Attualmente le attività “educational” previste dalla nuova farmacovigilanza purtroppo non danno molte risposte a questa domanda. Una recente indagine, svolta su tutti i farmaci registrati (fino al dicembre 2011) con procedura centralizzata contenenti misure aggiuntive per la gestione del rischio e catalogate come “educational”, mostra che c’è ancora molto da lavorare in questo campo.1 Infatti i dati confermano che la maggior parte dei programmi costruiti per comunicare un rischio non hanno definito molti aspetti considerati essenziali: a chi deve essere rivolta la comunicazione, con quali strumenti, con che tempi e con quali obiettivi? Eppure tali campagne sono considerate al momento della registrazione tanto necessarie per la gestione dei rischi da essere parte integrante dei piani di farmacovigilanza. La conseguenza di tutto ciò diventa ancora più preoccupante quando si rileva che la mancanza di specifiche indicazioni consente spesso alle aziende di utilizzare questi “committment” per svolgere campagne informative del tutto prive di requisiti utili a ridurre i rischi temuti. Addirittura alcune di queste campagne diventano attività promozionale del nuovo farmaco. Inoltre, la mancanza di questi elementi rende difficilmente misurabile l’impatto delle attività informatica e/o di comunicazione rispetto al generico obiettivo di mantenere ridotto il rischio teorico o concreto legato all’uso del farmaco.
Alle aziende vengono date indicazioni precise riguardo alla tipologia di studi a seconda di ciò che vogliono ottenere in termini di scelte regolatorie (autorizzazione, cambio di dosaggi, eccetera). Al contrario quando un farmaco porta con sé un grado di incertezza tale da rendere necessaria una particolare attenzione nella comunicazione delle sue caratteristiche (alert card, check list, patient information cards, eccetera) le agenzie del nostro continente rimangono ancora piuttosto vaghe. In questo scenario gli Stati membri si muovono poi in ordine sparso. Alcuni, approfittando di strutture dedicate, riescono a garantire comunque una qualche valutazione e controllo su come l’attività di comunicazione del rischio viene svolta dalle aziende produttrici dei farmaci.
In generale, varrebbe la pena ribadire che la mancanza di una comunicazione adeguata sui rischi associati all’uso dei farmaci è uno dei tanti fattori di rischio (non il più trascurabile) che espongono a reazioni avverse dei medicinali. In questo senso la comunicazione e l’aggiornamento sulla materia si incrociano anche con la formazione continua necessaria per essere sempre pronti a capire quando effettivamente stiamo osservando una reazione avversa dopo la prescrizione di un nuovo medicinale.
- Pharmacoepid Drug Safety 2012;21(suppl 1):461.
Antonio Addis
responsabile Area Governance della Ricerca,
Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna