Camilla è disorientata nello spazio
A Camilla, 65 anni, senza patologie concomitanti, nel novembre del 2011 è stato diagnosticato un carcinoma dell’ovaio in stadio I, per cui subito dopo è stata sottoposta a annessiectomia bilaterale, omentectomia e linfoadenectomia.
A febbraio 2012 la donna ha cominciato un trattamento chemioterapico adiuvante per via endovenosa (6 cicli con paclitaxel e carboplatino). Nel 2013 è stata rilevata, dopo un controllo con TC addominale, una recidiva di malattia (carcinosi peritoneale), trattata con 5 cicli per via endovenosa di trabectedina e doxorubicina liposomiale, senza beneficio, con progressione di malattia e comparsa di ascite.
Nel marzo 2014, a seguito di una revisione del preparato istologico relativo al primo intervento e al riscontro di un aumento di un marcatore tumorale specifico (s-alfafetoproteina), è stata modificata la diagnosi istologica in tumore a cellule germinali del seno endodermico ovarico non seminomatoso, tipo tumore del sacco vitellino. Tale modificazione diagnostica ha fornito indicazioni per l’adozione di un diverso protocollo di terapia con il ricorso a platino, etoposide e bleomicina.
Nonostante l’avvio dell’ulteriore linea di trattamento, nel settembre 2014 compaiono metastasi linfonodali, peritoneali, epatiche e pleuriche, per cui viene attivato un audit clinico per una valutazione ulteriore del caso, durante il quale si decide un nuovo trattamento chemioterapico con cisplatino e ifosfamide, avviato a ottobre del 2014 ed eseguito in regime di ricovero per le caratteristiche di complessità dello schema di terapia, che prevede ifosfamide 2.000 mg endovena per cinque giorni ogni 3 settimane. Durante il ricovero, la donna lamenta dolori a livello delle vertebre cervicali, astenia, dispnea e algie discontinue all’ipocondrio destro. Dopo due giorni di trattamento al risveglio la paziente si presenta particolarmente spossata, lievemente disorientata, con nausea e singhiozzo. Il giorno successivo, alla ripetizione del ciclo, e nonostante la premedicazione, si manifesta un episodio di vomito isolato. Nella stessa serata le infermiere, chiamate dalle vicine di letto, segnalano che la signora era in piedi nella stanza, disorientata nello spazio, confusa, con brividi scuotenti, nausea, singhiozzo e aveva perso il controllo degli sfinteri. Camilla continua a rimanere disorientata nello spazio seppur lucida (riesce a riferire dove si trova, il motivo per cui è ricoverata, riesce a descrivere i suoi sintomi e riferisce di sentirsi confusa) per tutta la notte. Nonostante i sintomi, i valori vitali rilevati sono nella norma: temperatura corporea 36,4°C; pressione arteriosa 125/90 mmHg, frequenza cardiaca 80 battiti al minuto.
La terapia con ifosfamide viene sospesa e viene somministrato l’antidoto, il blu di metilene, al dosaggio di 50 mg per via endovenosa. La mattina successiva la paziente è lucida e orientata, ma riferisce di non ricordare gli eventi della notte e della giornata precedente.
Una possibile spiegazione
L’ifosfamide è un agente alchilante1 le cui manifestazioni tossiche comprendono: mielosoppressione, cardiotossicità, cistite emorragica e neurotossicità (confusione mentale, spossatezza, allucinazioni, disorientamento e coma). In seguito al passaggio epatico (ossidazione a opera del citocromo P450, isoenzimi 3A, 2B1 e 2B6) l’ifosfamide viene attivata a metaboliti citotossici che, oltre all’azione terapeutica periferica sul tessuto tumorale, possono penetrare la barriera emato-encefalica e provocare tossicità al sistema nervoso centrale nel 10-50% dei pazienti che ne assumono dosi elevate.
Si ipotizza che fra le cause di sviluppo di encefalopatia da ifosfamide ci siano l’aumento della concentrazione dei metaboliti cloroacetaldeide, acido cloroacetico e acido glutarico che superata la barriera ematoencefalica, determinano:
- un effetto neurotossico diretto per acifidificazione cellulare;
- la deplezione di glutatione/cisteina nel sistema nervoso centrale;
- l’inibizione della fosforilazione ossidativa nei mitocondri.
Questo possibile meccanismo2-3 è suggerito dal fatto che nelle urine dei pazienti trattati si rilevano tracce di acido glutarico. Elevate concentrazioni di questo acido nell’organismo portano a un aumento di concentrazione di cloroetilamina, che a sua volta interferisce con la respirazione mitocondriale perché crea un accumulo di NADH. Questo coenzima impedisce la deidrogenazione delle aldeidi, e la cloroacetaldeide in eccesso genera un aumento della concentrazione del metabolita intermedio S-carbossime-tilcisteina, probabile causa dell’effetto tossico, e attivazione del recettore AMPA/kainate.3
L’antidoto è il blu di metilene, che interferisce nella via metabolica del farmaco e funziona da accettore di elettroni nella catena respiratoria mitocondriale, ripristinando i cofattori NAD e FAD ossidati per deidrogenare le aldeidi, e quindi il metabolita della ifosfamide. Inoltre l’antidoto inibisce l’attività delle monoaminossidasi, facendo aumentare la concentrazione di serotonina, che ostacola la trasmissione sinaptica eccitatoria indotta dal metabolita S-carbossimetilcisteina.3 La signora ha manifestato un grado lieve-moderato e reversibile di encefalopatia, ma in molti casi la tossicità è di grado elevato e può condurre a morte. Ai primi sintomi di tale tossicità è pertanto necessario interrompere la terapia con ifosfamide e farla seguire da una rapida idratazione che in genere permette di far regredire la sintomatologia nel giro di 48-72 ore. La dose raccomandata di blu di metilene per il trattamento della encefalopatia grave è di 50 mg ogni 4 ore per via endovenosa, oppure in profilassi secondaria alla dose di 50 mg ogni 6 ore. Si consiglia inoltre l’associazione di corticosteroidi per via endovenosa.
- Micromedex 2.0
- Cancer Res Treat 2011;43:260-3. CDI
- Toxicol Letters 2006;161:188-94. CDI
Mariassunta Miscio, Angelo C. Palozzo e Cristina Ghiotto
Istituto Oncologico Veneto, Padova