Attenzione ai betabloccanti nei pazienti chirurgici
L’assunzione continuativa di betabloccanti in occasione di interventi di chirurgia non cardiaca aumenta la morbilità e la mortalità. A questa conclusione è giunta un’indagine danese su 55.320 pazienti ipertesi a basso rischio in terapia con un regime a due farmaci. Per 14.644 di loro la combinazione comprendeva un betabloccante.
L’esito primario, rappresentato da eventi cardiaci maggiori (morte per cause cardiovascolari, ictus ischemico non fatale, infarto del miocardio non fatale) e da morte per tutte le cause si è verificato nell’1,3% dei pazienti che assumevano un betabloccante e nello 0,8% di quelli che non l’assumevano (p<0,001). Con questa classe di farmaci il rischio era significativo qualunque fosse l’antipertensivo associato sia per quanto riguarda gli eventi cardiaci maggiori (odds ratio per i trattamenti con betabloccanti, prendendo come riferimento l’associazione sartani + tiazidici: associazione con inibitori del sistema renina-angiotensina 2,16, limiti di confidenza al 95% da 1,54 a 3,04; con calcioantagonisti 2,17, limiti di confidenza al 95% da 1,48 a 3,17; con tiazidici 1,56, limiti di confidenza da 1,1 a 2,22) sia per quanto riguarda la mortalità generale (associazione con inibitori del sistema renina-angiotensina 1,79, limiti di confidenza al 95% da 1,33 a 2,42; con calcioantagonisti 1,65, limiti di confidenza al 95% da 1,24 a 2,18; con tiazidici 1,68, limiti di confidenza da 1,2 a 2,35).
Il rischio era più marcato per i pazienti ultrasettantenni, per gli uomini e in caso di interventi chirurgici in urgenza.
Poiché l’impiego di betabloccanti è molto diffuso, questi dati richiamano la necessità di una maggiore attenzione a verificare, ed eventualmente modificare, la terapia antipertensiva nei pazienti candidati a un intervento chirurgico.
Jørgensen ME, Hlatky MA, et al. β-blocker-associated risks in patients with uncomplicated hypertension undergoing noncardiac surgery. JAMA Internal Medicine, 2015; doi:10.1001/jamainternmed.2015.5346