Anticoagulanti orali diretti: una sfida per la farmacovigilanza
I pazienti con fibrillazione atriale hanno un aumento di 5 volte del rischio di ictus embolico che è spesso fatale o disabilitante. La tromboprofilassi con gli antagonisti della vitamina K riduce questo rischio del 64%,1 ma questo effetto positivo è parzialmente oscurato dal tasso di complicanze di sanguinamento maggiore che è dell’1,2-1,5% all’anno nell’ambito dei trial clinici ma che raggiunge anche il 6,5% nella pratica clinica corrente.2
Il sanguinamento maggiore è di solito definito come un sanguinamento fatale o la riduzione dei valori di emoglobina di almeno 2 g/dl o la trasfusione di almeno due unità di sangue o un sanguinamento sintomatico in aree e organi critici come il sistema nervoso centrale, il tratto gastrointestinale e lo spazio retroperitoneale.3 Nonostante il beneficio clinico netto sia chiaramente a favore degli antagonisti della vitamina K, il timore delle complicanze di sanguinamento è la maggior ragione che spiega il sotto utilizzo di questi farmaci nella fibrillazione atriale, come confermato da uno studio recente condotto in 70 reparti italiani di medicina interna.4 In particolare l’età avanzata sembra essere un importante ostacolo alla prescrizione degli anticoagulanti, nonostante ci siano prove della loro efficacia anche nelle persone più anziane che hanno il maggior rischio di tromboembolismo.5 Questa situazione insoddisfacente rispetto alla sicurezza degli antagonisti della vitamina K e il loro sotto utilizzo ha spinto al nuovo sviluppo di anticoagulanti orali che, a differenza degli antagonisti della vitamina K, inibissero direttamente gli enzimi chiave nella cascata della coagulazione. Gli anticoagulanti diretti attualmente in commercio in Italia sono l’inibitore della trombina dabigatran etexilato e gli inibitori del fattore Xa rivaroxaban e apixaban. Un altro farmaco anti Xa, l’edoxaban è improbabile che venga commercializzato in Italia prima del 2015. A differenza degli antagonisti della vitamina K, tutti gli anticoagulanti diretti hanno un rapido inizio di azione, una breve emivita plasmatica, poche interazioni tra farmaci e nessun bisogno del monitoraggio della coagulazione per l’aggiustamento della dose, poiché il loro effetto anticoagulante è sufficientemente costante a dosi orali fisse. I maggiori svantaggi degli anticoagulanti diretti rispetto agli antagonisti della vitamina K sono il bisogno di una somministrazione di due dosi al giorno (almeno per il dabigatran e l’apixaban, ma non per il rivaroxaban e l’edoxaban), i costi molto più alti nonostante la mancanza del monitoraggio laboratoristico e, più importante, il fatto che tutti questi farmaci sono soprattutto eliminati attraverso il rene, organo spesso compromesso nei pazienti più anziani. Al momento non ci sono antidoti per neutralizzare gli anticoagulanti diretti, ma la rapida scomparsa dell’effetto anticoagulante dovuta alla breve emivita fa sì che in molti casi sia sufficiente l’interruzione del trattamento, tranne nelle condizioni di sanguinamento che pone a rischio la vita.
Ciascun anticoagulante diretto è stato confrontato con il warfarin a dosi aggiustate secondo l’INR in studi controllati e randomizzati condotti in circa 80.000 pazienti con fibrillazione atriale cronica.6 L’obiettivo primario di questi studi era di valutare la non inferiorità di questi farmaci rispetto al warfarin in termini di tromboprofilassi per cui ogni prova di superiorità era considerata un esito secondario nel disegno dello studio. Anche se ci sono differenze tra i vari anticoagulanti diretti riguardo alla loro efficacia clinica ed efficienza, emergono alcuni risultati comuni.6 Tutti i farmaci non risultavano inferiori agli antagonisti della vitamina K, con un rischio di ictus ed embolismo sistemico sovrapponibile o inferiore e una tendenza per tutti a ridurre la mortalità da tutte le cause, con una significatività statistica per l’apixaban.6
I risultati degli studi controllati e randomizzati indicano che sebbene in generale il sanguinamento maggiore fosse meno o altrettanto frequente di quello dei pazienti trattati con warfarin, la speranza di non avere del tutto eventi avversi emorragici non si è materializzata. Le buone nuove sono che tutti gli anticoagulanti diretti riducevano almeno del 50% i sanguinamenti intracerebrali, la più temibile complicanza della terapia con antagonisti della vitamina K.6 E’ probabile che la minore mortalità da tutte le cause osservata sia dovuta in gran parte al minor rischio di sanguinamenti cerebrali. Questo importante vantaggio può fare di questi farmaci il trattamento di scelta per i sempre più numerosi pazienti anziani con una fibrillazione atriale? Ci sono alcuni caveat al riguardo. A causa dei pazienti altamente selezionati arruolati negli studi clinici randomizzati, il rischio di sanguinamento da tutte le cause può essere sottostimato e può essere valutato solo nella pratica clinica quotidiana reale, per esempio nei pazienti più anziani che prendono molti farmaci insieme, sono fragili e a rischio di cadute, e questi sono i pazienti che più spesso hanno una fibrillazione atriale.5 Solo per il dabigatran, il primo anticoagulante diretto introdotto in Europa, sono disponibili dati preliminari sull’uso nella pratica quotidiana. Subito dopo la commercializzazione sono stati segnalati casi di sanguinamenti drammatici e a volte fatali di solito in pazienti anziani trattati con dabigatran nonostante avessero segni di insufficienza renale. Un’altra preoccupazione è l’osservazione, che viene dagli studi clinici randomizzati, che l’uso di questo anticoagulante diretto si associ a un maggior tasso di infarto del miocardio. Inoltre nello studio AF RE-LY è emerso un aumento dei casi di sanguinamento gastrointestinale rispetto al warfarin.
Queste preoccupazioni sono state in parte superate dalla MiniSentinel analysis condotta negli Stati Uniti sotto l’egida dalla FDA,7 così come da due studi osservazionali condotti in Danimarca,8,9che hanno usato i registri di morte, ospedalizzazione e prescrizione di farmaci disponibili in quel paese. Nel complesso questi dati post marketing su 130.000 pazienti con fibrillazione atriale trattati con warfarin o dabigatran hanno rilevato che non c’era un eccesso di sanguinamenti gastrointestinali e di infarto miocardico con questo anticoagulante diretto, mentre confermavano che sia il sanguinamento intracranico sia la mortalità da tutte le cause erano meno frequenti che nei pazienti trattati con warfarin. Il rivaroxaban e l’apixaban sono stati commercializzati molto dopo il dabigatran, per cui i dati non sono ancora disponibili.
Che cosa si può imparare? Anzitutto, si spera che le prove solide di un minor rischio di sanguinamenti intracerebrali e la non necessità di visite ambulatoriali di routine per il monitoraggio di laboratorio possano convincere sia i medici riluttanti sia i loro pazienti con fibrillazione atriale ad alto rischio di ictus non trattati a iniziare con questi farmaci una tromboprofilassi efficace e necessaria. In secondo luogo nei pazienti con fibrillazione atriale che prendono antagonisti della vitamina K e sono molto instabili nel mantenersi nel range dell’INR raccomandato (tra 2,0 e 3,0) si dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di passare a un anticoagulante orale diretto. In realtà, una parola di cautela sul cambio della terapia viene da uno degli studi danesi,8 perché i pazienti che passano da un antagonista della vitamina K al dabigatran hanno un eccesso di complicanze emorragiche, forse perché il cambiamento si verificava più spesso nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento e trattati al di fuori delle raccomandazioni correnti. Un’altra indicazione cruciale è di evitare il dabigatran quando la velocità di filtrazione glomerulare è sotto i 50-60 ml/min.5 Anche se per gli altri anticoagulanti diretti il grado di eliminazione per via renale è minore (80% per il dabigatran, 60% per il rivaroxaban, 50% per l’edoxaban e 25% per l’apixaban), è necessaria molta cautela anche per questi inibitori del fattore Xa.
Infine una raccomandazione importante per i medici che prescrivono gli anticoagulanti orali diretti è, sia nei pazienti trattati per la prima volta sia in quelli già in terapia con un altro anticoagulante, di registrare accuratamente tutti gli episodi di sanguinamento e le loro circostanze e comunicarli all’AIFA. Un operatore sanitario che osservi una reazione avversa sospetta da farmaco deve segnalarla sia essa da warfarin o da anticoagulante diretto. La segnalazione dei soli effetti avversi legati ai nuovi farmaci anticoagulanti porterebbe infatti al cosiddetto effetto Weber, vale a dire la iper rappresentazione di effetti avversi che si verificano tipicamente quando un nuovo farmaco entra in commercio.10 Forse l’eccesso di casi di sanguinamento osservati nei primi giorni della messa in commercio del dabigatran potrebbe essere dovuto anche all’iper segnalazione associata all’effetto Weber.
- Ann Intern Med 2007;146:857-67. CDI
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- J Am Coll Cardiol 2013;61:2264-73. CDI
- Adv Inflammation Res 1984;6:1-7. CDI NS
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano