ACE inibitori e sartani in COVID-19: quali rischi e benefici?
Secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control, dal 31 dicembre 2019 all’8 maggio 2020 la pandemia da SARS-CoV-2 ha portato a oltre 3,8 milioni di contagi e 269.068 decessi.1 Vi sono ipotesi contrastanti sui possibili effetti avversi o protettivi dei farmaci antipertensivi che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2.2-5 Alla luce del loro comune utilizzo è importante capire quali sono le prove disponibili a supporto delle varie ipotesi.
Descrizione delle due classi di farmaci
Il RAAS gioca un ruolo importante nella patogenesi di diverse patologie cardiovascolari, renali e polmonari.6
Gli ACE inibitori interferiscono con il RAAS attraverso l’inibizione dell’enzima ACE1, prevenendo la formazione dell’angiotensina II e determinando una riduzione dei suoi effetti vasopressori, sodio-ritentivi e cardiaci.7 I sartani competono con l’angiotensina II per il legame al recettore AT1, il cui ruolo funzionale è quello di mediare la maggior parte degli effetti biologici dell’angiotensina II.
Le indicazioni riportate per entrambi le classi di farmaci sono il trattamento dell’ipertensione essenziale e dell’insufficienza cardiaca.
Ruolo nell’infezione da SARS-CoV-2
La comprensione del ruolo fisiologico del RAAS è stata arricchita con la scoperta dell’enzima ACE2, che catalizza la conversione dell’angiotensina I in angiotensina 1-9 e dell’angiotensina II in angiotensina 1-7.9 ACE2 è stato identificato come il recettore di ingresso per il SARS-CoV-2, suscitando il dubbio che i farmaci che agiscono sul sistema RAAS possano in qualche modo peggiorare l’infezione.5 Il trattamento con questi farmaci sembra incrementare l’espressione di ACE2 in alcuni studi su animali e nell’uomo, potendo teoricamente favorire l’infezione.10 Tuttavia, molti degli studi nell’animale che descrivono un aumento di ACE2 sono stati condotti con dosaggi elevati di ACE inibitori o sartani, difficilmente trasferibili nell’uomo, come evidenziato da Sriram e colleghi.11 Altri studi su animali e sull’uomo hanno rilevato risultati contrastanti.12 Sono poche quindi le prove a supporto di un aumentato rischio con l’uso di inibitori RAAS.
Alcuni autori suggeriscono, invece, che l’aumento dell’enzima di conversione ACE2 e la deviazione conseguente di angiotensina I verso la formazione di angiotensina 1-9 e 1-7, note per esercitare effetti protettivi polmonari e cardiaci, potrebbe proteggere i pazienti dal danno acuto polmonare da SARS-CoV-2.2,13 Inoltre, studi in vitro hanno mostrato che SARS-CoV-2, dopo l’ingresso mediato dall’interazione con ACE2, ne determina la sotto espressione. Pertanto, l’esposizione al virus potrebbe sbilanciare la cascata RAAS verso una maggiore formazione di angiotensina II, aggravando il quadro polmonare e cardiovascolare. In questa circostanza, gli ACE inibitori o i sartani sono stati proposti come farmaci utili per proteggere dall’eccessivo aumento di angiotensina II.2 Di recente, secondo l’evidenza clinica che condizioni di ipercoagulabilità nei pazienti COVID-19 aggravano il decorso clinico, è stato discusso il ruolo dell’angiotensina II nella cascata coagulativa poiché eserciterebbe un effetto protrombotico.14,15 Secondo gli autori la modulazione farmacologica del sistema RAAS potrebbe essere un approccio promette per i pazienti con COVID-19.16
Evidenze cliniche: benefici e rischi
Studi osservazionali condotti su pazienti affetti da COVID-19 hanno fornito informazioni potenzialmente utili in merito al profilo rischio-beneficio di questi farmaci nell’infezione da SARS-CoV-2. Uno studio retrospettivo condotto su pazienti cinesi affetti da COVID-19 ha mostrato un potenziale effetto benefico degli inibitori del RAAS in questa patologia.17 Dei 3.430 pazienti arruolati, 1.128 (32,9%) erano ipertesi e 188 (16,7%) di questi erano trattati con ACE inibitori o sartani, mentre i rimanenti (940, 83,3%) erano in trattamento con altri antipertensivi. Il rischio di mortalità per tutte le cause è risultato significativamente più basso nel gruppo ACE inibitori/sartani rispetto al gruppo con altri antipertensivi in base all’analisi multivariata (rischio relativo aggiustato: 0,42, limiti di confidenza al 95% da 0,19 a 0,92, p=0,03), aggiustata anche con il propensity score (rischio relativo aggiustato: 0,30, limiti di confidenza al 95% da 0,12 a 0,70, p=0,01). Tuttavia diversi limiti dello studio sono discussi dagli autori: la dimensione del campione è modesta e non permette di rilevare differenze tra ACE inibitori e sartani, la storia clinica non è completa per tutti i pazienti e la differenza nell’utilizzo di altri farmaci antipertensivi tra i due gruppi potrebbe essere dovuta a un fattore di confondimento.
In un altro studio condotto su 12.549 pazienti, 4.357 avevano una storia clinica di ipertensione e il 59,1% di questi era affetto da COVID-19: non è stato riscontrato un aumento significativo di positività al test per SARS-CoV-2 o del rischio di aggravamento della patologia con l’utilizzo di inibitori del RAAS.18 Gli autori sostengono, tuttavia, che l’accertamento dell’uso dei farmaci potrebbe non riflettere la reale esposizione a essi e questa potrebbe essere una limitazione dello studio.
In un altro studio, condotto valutando i dati di 8.910 pazienti COVID-19, provenienti da 169 ospedali in Asia, Europa e Nord America, non si è osservato un aumento del rischio di morte associato all’uso di ACE inibitori (odds ratio: 0,33, limiti di confidenza al 95% da 0,20 a 0,54) o sartani (odds ratio: 1,23, limiti di confidenza al 95% da 0,87 a 1,74); poiché lo studio non era controllato e randomizzato, non si può escludere l’azione di fattori di confondimento.19
Inoltre, in un recente studio caso-controllo condotto in Lombardia, 6.272 pazienti COVID-19 sono stati confrontati con 30.759 assistiti del Servizio sanitario regionale.20 Non è stata dimostrata alcuna associazione con COVID-19 per i sartani (odds ratio aggiustato: 0,95, limiti di confidenza al 95% da 0,86 a 1,05) e per gli ACE inibitori (odds ratio aggiustato: 0,96, limiti di confidenza al 95% da 0,87 a 1,07). Infine, considerato il ruolo delle patologie cardiovascolari tra le comorbilità nei pazienti COVID-19,21 la sospensione degli antipertensivi potrebbe aumentare la frequenza di esiti negativi in questi pazienti.22
Posizioni ufficiali sull’argomento
Poiché in letteratura non ci sono prove cliniche che dimostrino che ACE inibitori e sartani possano peggiorare le infezioni da SARS-CoV-2, l’interruzione del trattamento con questi farmaci o il passaggio ad altri antipertensivi non sono raccomandati da nessuna delle società scientifiche e agenzie regolatorie nazionali ed internazionali. Al contrario, le raccomandazioni e le linee guida pubblicate a oggi da Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA),23 European Medicines Agency (EMA),24 European Society of Cardiology,25 Società Italiana di Farmacologia,26 Heart Failure Society of America, American College of Cardiology e American Heart Association,27 International Society of Hypertension,28 ed European Society of Hypertensionn29 concordano sulla necessità di continuare il trattamento con inibitori del RAAS in pazienti ipertesi affetti da COVID-19, a meno che non siano clinicamente controindicati.30
In pratica
In conclusione, le attuali prove non supportano l’interruzione del trattamento farmacologico con ACE inibitori e sartani o il passaggio ad altri antipertensivi; il trattamento dovrebbe essere quindi continuato, come sottolineato dalle diverse società scientifiche e agenzie regolatorie.
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Gabriele Puglisi, Salvatore Crisafulli, Gianluca Trifirò, Janet Sultana
Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali, Università degli Studi di Messina