I rischi dei nuovi farmaci orali per la terapia della sclerosi multipla
Le nuove molecole si accompagnano a importanti effetti avversi, per cui vanno usate solo in caso di mancata risposta alle terapie di prima linea
La sclerosi multipla è una malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale che colpisce solitamente i giovani con un picco di incidenza tra i 20 e i 40 anni e si caratterizza per la comparsa di fenomeni di danno focale e di danno diffuso sin dal suo esordio; i sintomi sono variabili a seconda della regione del sistema nervoso centrale coinvolta. L’85% circa dei pazienti con sclerosi multipla ha la forma recidivante-remittente (RR) della malattia, nella quale il decorso iniziale è caratterizzato dal susseguirsi di ricadute e remissioni e il cui recupero può essere completo o parziale; nel 50% circa dei casi la forma si evolve entro 10 o 20 anni a sclerosi multipla secondariamente progressiva, con lenta progressione della disabilità.
Farmaci vecchi e nuovi
I primi farmaci a entrare in commercio per l’impiego in pazienti affetti da sclerosi multipla sono stati l’interferone beta 1a e 1b, il glatiramer acetato e il mitoxantrone, sostanze con diverso meccanismo d’azione ma con il comune obiettivo di prevenire le recidive o accorciare il corso di una ricaduta (i cosiddetti farmaci che modificano l’andamento della malattia). Più di recente si sono resi disponibili il natalizumab (nel 2006) e il fingolimod (nel 2011), primo farmaco attivo per via orale; entrambi sono da riservare ai pazienti che non hanno risposto o si sono dimostrati intolleranti ai trattamenti standard di prima linea (interferone e glatiramer). Ciò perché, nonostante ci siano prove di efficacia migliori per i farmaci più recenti, questi sono gravati da un profilo di sicurezza piuttosto critico (principalmente tossicità cardiovascolare, rischio di infezioni virali letali e di alcune forme tumorali come per es. carcinoma mammario, ovarico e tiroideo per il fingolimod, possibile insorgenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva per il natalizumab).
Nell’agosto 2013, l’EMA ha autorizzato per la terapia di prima linea della sclerosi multipla recidivante-remittente la teriflunomide, analogo della leflunomide in uso da oltre 10 anni nel trattamento dell’artrite reumatoide. La teriflunomide è un farmaco attivo per via orale e il suo meccanismo d’azione, benché non del tutto noto, si ritiene che consista nell’arresto della proliferazione e della funzionalità dei linfociti T e B attivati.
Nel gennaio 2014, infine, è stato approvato dall’EMA per la medesima indicazione il dimetilfumarato, anch’esso da assumere per via orale. Il farmaco, già in uso da tempo per il trattamento della psoriasi, sembra agire attivando la proteina Nrf2 (fattore nucleare 2 eritroide 2-correlato) che, a sua volta, attiva geni coinvolti in effetti antinfiammatori, antiossidanti e neuroprotettivi.
Nonostante l’elevata aspettativa per l’arrivo di nuovi farmaci efficaci con una più facile modalità di assunzione (orale anziché iniettiva) e privi degli effetti indesiderati tipici dell’interferone, come le reazioni al sito di iniezione e i sintomi similinfluenzali, la teriflunomide e il dimetilfumarato hanno mostrato fin dagli studi registrativi un profilo rischio/beneficio problematico. Ecco perché gran parte della letteratura scientifica è giunta a raccomandarne l’impiego solo in casi selezionati di pazienti che abbiamo mostrato intolleranza o mancata efficacia alle terapie di prima linea (glatiramer, interferone), che a oggi presentano ancora i maggiori dati di efficacia e sicurezza a lungo termine.
I dati sulla teriflunomide
Dagli studi clinici condotti sulla teriflunomide sono emersi casi di aumento degli enzimi epatici, neutropenia, nevralgia del trigemino, diarrea, alopecia, nausea e aumento della creatina chinasi. L’FDA ha inserito nel riassunto delle caratteristiche del prodotto una avvertenza dove, alla luce della epatotossicità talvolta fatale nota per la leflunomide, avvisa della possibile comparsa di epatotossicità anche in corso di terapia con teriflunomide.1
L’uso di teriflunomide è inoltre particolarmente critico nelle donne in età fertile, in quanto il farmaco si è dimostrato embriotossico e teratogeno nell’animale (ratto, coniglio) a dosaggi corrispondenti a quelli utilizzati nell’uomo. Per questo motivo la scheda tecnica del farmaco ne controindica l’uso in gravidanza e nelle donne in età fertile che non utilizzano una contraccezione affidabile durante il trattamento e successivamente finché i suoi livelli plasmatici sono >0,02 mg/l, valori che mediamente si raggiungono a 8 mesi dal termine della terapia. Per conseguire più rapidamente la concentrazione raccomandata, è possibile effettuare una procedura di eliminazione accelerata con colestiramina o carbone attivo.
Nel 2014 è stato pubblicato uno studio riguardante gli esiti di gravidanze in cui o la donna (83 casi) o il partner (22 casi) erano stati esposti alla teriflunomide durante gli studi clinici registrativi. Poiché tutti i bambini sono nati sani e la percentuale di aborti spontanei (18,6% dei casi) era in linea con quella fisiologica attesa, gli autori concludono dicendo che non vi è un segnale di rischio teratogeno associato alla teriflunomide. Si tratta tuttavia di dati preliminari e da prendere quindi con cautela anche considerando la casistica limitata e il fatto che la maggior parte delle donne ha effettuato la procedura accelerata di eliminazione del farmaco appena è venuta a conoscenza della gravidanza.2 Sicuramente le informazioni raccolte nei registri che sono stati attivati nei diversi paesi potranno fornire dati utili per meglio caratterizzare il profilo di rischio teratogeno della teriflunomide, aspetto di grande interesse considerando che si tratta di un farmaco rivolto prevalentemente a donne in età fertile.3 Dalla sintesi dei pareri formulati da parte dei principali bollettini indipendenti emerge chiaramente come la teriflunomide venga giudicata negativamente, in particolare per la mancanza di confronti diretti che al momento non consentono di definirne il ruolo in terapia rispetto alle attuali terapie standard di uso consolidato.4
I dati sul dimetilfumarato
Per quanto riguarda il dimetilfumarato, le reazioni avverse che si sono verificate con maggiore frequenza negli studi clinici, soprattutto nel primo mese di terapia, sono state rossore e disturbi gastrointestinali (diarrea, nausea, dolore addominale). Sono state inoltre descritte una tossicità renale, epatica ed ematologica, con comparsa di leucopenia e riduzione della conta linfocitaria. Quest’ultima reazione avversa desta la maggiore preoccupazione alla luce del primo caso di leucoencefalopatia multifocale progressiva insorto in un paziente arruolato nello studio clinico ENDORSE e reso noto dall’AIFA mediante l’emanazione di una nota informativa importante nel dicembre 2014. Il soggetto era in terapia con il dimetilfumarato da 4 anni circa, non era mai stato trattato con il natalizumab e la reazione avversa è insorta dopo 3 anni di linfocitopenia severa e prolungata, un fattore predisponente per l’insorgenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva.
Il futuro
E’ atteso per i prossimi anni l’arrivo di altri nuovi farmaci per il trattamento della sclerosi multipla recidivante-remittente, tra cui diversi anticorpi monoclonali (daclizumab, ofatumumab, ocrelizumab, eccetera). Nonostante i notevoli passi in avanti compiuti negli ultimi anni, con l’entrata in commercio di farmaci in grado di modificare favorevolmente il decorso della malattia e quindi la qualità della vita dei pazienti affetti da sclerosi multipla, a tutt’oggi non esiste ancora una terapia in grado di guarire la malattia. La teriflunomide e il dimetilfumarato sono farmaci che si sono dimostrati efficaci ma, come i loro predecessori, presentano un profilo di rischio peculiare di cui occorre tener conto al momento della prescrizione, sulla base delle caratteristiche del singolo paziente ma anche delle sue aspettative.
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche – DIMEC - Unità di Farmacologia, Bologna